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Qualche sbadiglio tra fantasmi e maledizioni

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UN PICCOLO film francese con fantasmi. O immaginati tali. E naturalmente con indulgenze scoperte nei confronti del cinema dell'orrore. La cornice è un orfanotrofio sulle Alpi, l'epoca è attorno alla fine dei Cinquanta. Si comincia con gli orfanelli e le orfanelle che vanno tutti via perché verranno adottati da anime pie. Lì, a Saint Ange (il nome dell'orfanotrofio) restano solo un'austera e severa direttrice, mesta all'idea che quella istituzione stia per chiudere, un'anziana cuoca dalle apparenze bonarie, Anna, una servetta assunta da poco, con parecchi guai nel suo passato (tra l'altro è incinta, anche se lo nasconde) e Judith, una orfanella ormai diventata adulta e tenuta ancora lì perché, dicono, sarebbe malata di mente. L'intreccio si dipana soprattutto attorno ad Anna e a Judith. La prima perché comincia ad avere visioni di bambini morti, la seconda perché su quei morti e il passato dell'orfanotrofio mostra di sapere molte cose. Di quel passato fa ampia parte anche la cuoca che, con varie ambiguità, svela a poco a poco atteggiamenti tutt'altro che tranquillizzanti. Naturalmente si chiuderà con un dramma. E con un codazzo di bambini ritenuti dei fantasmi... Si è scritto e diretto il tutto Pascal Laugier che non ha avuto finora grandi spazi nel cinema francese e che non ne avrà di certo molti dopo questo film. Il testo che ha inventato non segue né la verosimiglianza né la logica, punta solo sull'effetto «paura» cui tende fin dalle prime immagini: un fosco edificio tra boschi neri, una direttrice abbigliata come certe governanti torve di Hitchcock. Poi, affidandosi quasi soltanto alle immagini, con musiche sempre minacciose di sfondo, si dà a disseminare attese e angosce, privilegiando scene di notte e corredandole, quasi dal principio alla fine, di temporaloni pronti a dispensare con dovizia tuoni e lampi, anche con fulmini. Anna «vede» i bambini morti, Judith le spiega oscuri retroscena dei tempi di guerra, la cuoca svela a poco a poco un animo cattivo tanto da risultare coinvolta proprio in quegli antichi retroscena. Si grida, ci si spaventa, si fabbrica via via sempre più un terrore, spesso, però, unicamente immotivato ed epidermico. Con l'impossibilità di arrivare narrativamente a una conclusione verosimile. Nei panni di Anna c'è quella Virginie Ledoyen, così carina (e anche brava) in «8 donne e un mistero» di François Ozon. Qui deve solo spaventarsi, immaginarsi quello che non c'è e, dopo un parto sanguinolento, morire a sua volta andando a raggiungere le fantasmagoriche schiere degli orfani defunti. Lo fa con impegno, ma con poca convinzione.

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