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Nei gialli troppo spesso l'assassino è un analfabeta

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Analfabeti, criminali, sordomuti, certificazioni di lingua straniera" curato da Massimo Vedovelli in collaborazione con Monica Barni, Gioia Maestro e Vittoria Gallina per i tipi di Guerra Edizioni (Perugia, 2005). Lo studio prende le mosse dall'analisi semiotica del testo di genere giallo portata avanti in collaborazione tra le facoltà di Lingua e Cultura Italiana dell'Università per Stranieri di Siena e la Cattedra di Semiotica di Raffaella Petrilli dell'Università della Calabria nell'anno accademico 2001-2002. Strano pensare è quello di addossare tutte le colpe ai senza parola e senza udito che, come nel caso del romanzo di Matthew Pearl, "The Dante Club" ("Il circolo Dante", Rizzoli, Milano 2003), vestono i panni di un omicida analfabeta affascinato dalla "Divina Commedia" alla cui lettura pubblica assiste assiduamente fino a trovare l'ispirazione per i suoi delitti o di un personaggio incapace di esprimersi bene e per questo fatto oggetto di una perversa macchinazione da parte del vero assassino nel giallo "Sans feu ni lieu" ("Io sono il tenebroso", Torino, Enauidi 2000) di Fred Vargas. La limitazione del linguaggio, l'ignoranza, l'incapacità di esprimersi generano, dunque, mostri a cui la nostra fantasia può addossare ogni colpa e infamia senza sentire per questo il peso di alcuna responsabilità. La marcata carenza semiotica dell'individuo è qui indagata come vero e proprio motore del giallo anche se tratteggiare i confini di una figura centrale di un personaggio che non parla, che non sente e che è priva di ogni fondamento di conoscenza è di per sé un controsenso: gli autori che scelgono questi temi sono ovviamente avvertiti delle complessità ma non di meno subiscono il fascino di narrare ciò che non viene e non può essere detto dai loro tristi soggetti, ma semplicemente (o meglio, criminalmente) pensato ed agito. L'autore deve avere per forza una profonda conoscenza della pur minima sfumatura psicologica se ha scelto la via della ricostruzione realistica. Ma è ammissibile che un giallo diventi un'opera sull'analfabetismo vista la necessaria documentazione scientifica che tale argomento richiede? Gli studiosi delle università di Siena e di Cosenza tentano diverse strade interpretative, seguendo diverse linee d'analisi che possono partire anche da un testo, che a dir la verità non è un vero giallo, come quello di Bernhard Schlink, "A voce alta", ma che pur sempre assume aspetti tipici del racconto "noir" o di Ruth Rendell, "La morte non sa leggere", dove l'analfabetismo viene considerato come un pericolo per la stabilità sociale e generatore di morte. Analizzate le trame si passa così alle prime conclusioni dove si conferma la devianza criminale associata all'assoluta incoscienza del linguaggio ("Eunice Parchman sterminò la famiglia Coverdale perché non sapeva leggere, perché non sapeva scrivere", inizia il racconto di Rendell), anzi alla fondatezza del movente delittuoso a causa della più totale ignoranza: "L'alfabetismo è una delle conquiste basilari della civiltà. Essere analfabeta è come essere deforme." Si obietterà che si uccide in ogni caso e per ogni buon motivo. Si uccide perché si è ignoranti e si uccide per non esserlo come nel caso del libro di Colin Dexter, "Un puzzle per l'ispettore Morse" ("The Silent World of Nicholas Queen", Longanesi & Co., Periodici, 1988), ove il racconto si svolge in un centro di certificazione linguistica di inglese, tra un esame e l'altro per ottenere il meritato diploma. Conclusioni? Tante e tutte implicite nello studio, anche se la più "impressionante", è il caso di dire, risulta quella di Vittoria Gallina che traccia un disegno dell'analfabetismo in Italia a partire dall'ultimo censimento effettuato nel 2001 e sui dati relativi al nostro paese dell'International Adult Literacy Survey che hanno permesso di delineare prof

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