di MASSIMO TOSTI «SE NON FOSSE stato per questo», disse Bartolomeo Vanzetti rivolgendosi alla giuria ...

Sarei morto sconosciuto, senza una pietra che segnasse la mia tomba: un fallimento. Ma ora non siamo dei falliti. Questa è la nostra carriera e il nostro trionfo. Mai, vivendo l'intera esistenza, avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini, come adesso facciamo per un caso del destino». Orgoglio di anarchico. Sacco e Vanzetti furono - negli anni Venti dello scorso secolo - i protagonisti, e le vittime, di una clamorosa vicenda giudiziaria, che provocò reazioni nel mondo intero. Al termine di un processo che da molti fu paragonato a quello che alla fine del secolo precedente aveva portato alla condanna (in Francia) di Alfred Dreyfus (e che aveva ugualmente mobilitato l'opinione pubblica mondiale) i due immigrati italiani furono condannati a morte sotto l'accusa di aver ucciso il 15 aprile 1920, in un sobborgo di Boston, due uomini nel corso di una rapina in un calzaturificio. Non furono trovate prove a carico dei due italiani, ma soltanto labili indizi. Neppure la confessione di un altro detenuto, il portoricano Celestino Madeiros, che ammise di aver preso parte alla rapina e scagionò Sacco e Vanzetti, sostenendo di non averli mai conosciuti, salvò la vita dei due. La battaglia legale si protrasse per sette anni (un tempo memorabile per la giustizia statunitense, che considera la celerità dei procedimenti come un requisito indispensabile) fino al 9 aprile 1927 quando fu pronunciata la sentenza di morte. Il 23 agosto la sentenza fu eseguita nel carcere di Charlestown, assediato da una folla di dimostranti. Il primo a salire sulla sedia elettrica fu Madeiros. Poi toccò a Sacco, che gridò in italiano «Viva l'anarchia!»; poi, in inglese e a bassa voce: «Addio moglie mia, miei bambini, miei compagni». Vanzetti, entrando nella camera della morte, si rivolse al direttore del carcere, Hendry: «Desidero dichiararvi che sono innocente. Non ho mai ammesso un delitto: alcune colpe, ma nessun delitto, mai. Vi ringrazio per tutto quanto avete fatto per me. Sono innocente». In Europa ci furono manifestazioni clamorose di protesta. La Francia fu paralizzata da uno sciopero generale. A Parigi furono innalzate barricate davanti all'ambasciata americana; a Montmartre fu devastata la facciata del Moulin Rouge. Disordini ci furono anche in Svizzera, in Germania, e a Londra dove molta gente si radunò davanti a Buckingham Palace, cantando Bandiera rossa. A Mosca una strada venne intitolata ai due anarchici italiani. Dimostrazioni popolari ci furono anche in America latina e in Australia. Sacco e Vanzetti divennero ovunque nel mondo le immagini della vergogna americana. Negli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale si era scatenata negli Stati Uniti una caccia agli anarchici paragonabile a quella che, dopo la seconda guerra mondiale, fu ingaggiata dal senatore Joseph McCarthy contro le persone sospettate di comunismo. La campagna contro gli anarchici era stata lanciata dallo stesso presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, che aveva interpretato lo stato d'animo di molti americani. Gli Stati Uniti erano allora un grande Paese multietnico. Nei decenni precedenti erano state spalancate le porte agli immigranti, che avevano contribuito con il loro lavoro allo straordinario sviluppo industriale che - in poco tempo - si era trasformato nella maggiore potenza mondiale. La Grande Guerra (e i sommovimenti politici che essa aveva provocato) era all'origine della diffidenza nei confronti dei nuovi residenti, considerati come possibili veicoli dei virus rivoluzionari che avevano allignato in Europa. Soltanto a distanza di cinquant'anni, nel 1977, il governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, riconobbe in un documento ufficiale gli errori commessi nel processo, riabilitando completamente la memoria di Sacco e Vanzetti. Che oggi tornano - un po' dovunque - di attualità. In questi giorn