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Ne «Il medaglione» l'investigatore di un mistero siciliano è un maresciallo

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Gli editori aiutano il paziente sfoderando uno dopo l'altro testi che ti agguantano dalla prima pagina e non ti lasciano più: non casualmente Andrea Camilleri è da sempre in testa alle classifiche più o meno sincere: lui, va bene d'inverno per le gelide sere in cui non ti va da imbracarti in una telefiction, a meno che il protagonista non sia il commissario Montalbano, e funziona anche sotto l'ombrellone in un torrido pomeriggio: neanche a dirlo, eccolo con due libri costruiti su misura per questo tipo di situazione, ma anche con quella tecnica sopraffina che lo ha designato sicuramente il miglior nostro giallista del momento, con ogni rispetto per tutti gli altri, in un contesto che abbonda di romanzi di questo tipo. Dunque, eccolo Camilleri alle prese con due storie, una edita dal suo fedele Sellerio, Luna di carta (pag. 265, 11,00 euro), l'altra negli Oscar mondadoriani, Il medaglione (pag. 71, 7 euro). Nell'uno come nell'altro testo c'è la duplice possibilità di realizzare una gita conoscitiva in un ameno luogo siciliano, il delizioso Belcolle paese da cartolina, con una barca sullo sfondo arenata su una montagna verde e giù in fondo il mare inconfrontabile di Cefalù. Armi e bagagli e correre subito sul luogo dove il simpatico maresciallo dei carabinieri Antonio Brancato cerca di capire perché e percome l'inconsolabile Ciccino è ormai fuori di testa, dopo la scomparsa della moglie Marta. Ed ecco questo Brancato/Montalbano dedicarsi all'inchiesta con tutte le armi indiziarie in suo possesso. Se questo è il problema che sbuca fuori dalla lettura accattivante de Il medaglione, la sfida con un testo come Luna di carta è certamente più coinvolgente, poiché tante enormità, in ogni campo e in ogni rapporto, che esistono nell'Italia di oggi così difficile da farsi capire, emergono in chiara luce e non vengono sottaciute da Camilleri, ovunque il suo randello vada a colpire. Insomma, la suggestione del paesaggio sta lì, a portata di mano e di occhi, ma le magagne ci sono tutte ed è un dovere dello scrittore riportarle in superficie, dal mare melmoso in cui si nascondono. Dunque partiamo dal centro della vicenda: c'è un cadavere, quello di un informatore farmaceutico, ucciso con una fucilata in pieno viso mentre riposa sulla poltrona di casa. È un poco di buono, e le condizioni censurabili in cui viene trovato lo dimostrano in abbondanza. Non solo, ma l'indagine porta a scoprire che in vita si circondava di una flotta di personaggi loschi e ambigui, politici e corrotti a dir poco, amanti spietate, cocainomani sfaccendati, vogliose sorelle, mafiosi, falsi testimoni, omicidi: insomma c'è di tutto in questa lurida tana dove si rischia di finire anche con la tessera di innocenti. Lui, Montalbano, stavolta deve usare armi diverse, altro che Maigret o Poirot, qui ci vuole la riscoperta del mondo dell'infanzia, quando la furbizia è dote più naturale che acquisita: «Quann'era picciliddro, una volta sò patre per babbiarlo, gli aveva contato che la luna 'n cielu era fatta di carta. E lui, che aviva sempre fiducia in quello che il patre gli diciva, ci aviva criduto. E ora, maturo, sperto, omo di ciriveddro e d'intuito, aviva nuovamente criduto come un picciliddro a dù fimmine...» Sono due donne forti e invidiose, quelle che vorrebbero incastrare Montalbano: sensuale e aperta l'una, misteriosa e morbosa l'altra, capace di aprirsi alla luce del sole nella sua estroversione, e chiudersi nel guscio come una conchiglia. Si odiano, si pugnalano alle spalle, e Montalbano lì a guardare, impassibile ma non troppo se poi saranno proprio queste due figure centrali ad aprirgli la strada verso la soluzione del mistero. Il quale si risolve soltanto a prezzo dell'inevitabile vendetta che aiuta il commissario, e ben venga poiché la verità non procura rimedio, e la vittoria è sinonimo di vendetta, rovinosa, tragica. Montalbano sta invecchiando, ha bisogno di questi aiuti per vincere, lo sa e se ne du

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