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Esce solo oggi quel disco «proibito» Le incisioni dovevano essere distrutte

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Detta così la notizia, sia pur notevole dal punto di vista discografico, finirebbe per interessare solo gli appassionati e i jazzofili incalliti. In realtà c'è dell'altro. In quel suo primo tour europeo del 1933, Ellington venne invitato a Londra per espresso desiderio del re d'Inghilterra, Giorgio VI, che all'epoca però era ancora Principe di Galles, sincero appassionato, batterista provetto e già possessore dell'intera discografia del Duca. In quei giorni la loro amicizia si consolidò, al punto che ai manager della Decca venne in mente di far partecipare, ovviamente in incognito, il principe ad una delle sedute di registrazione, orgogliosissimo di suonare con la celebre orchestra. Tutte le precauzioni per mantenere l'incognito fino alla fine però non servirono a niente: ad un certo punto Scotland Yard fece irruzione nella sala, per ordini superiori, requisendo tutti gli apparecchi. Sembra che la matrice venne distrutta, il disco non fu mai stampato e la reputazione della Corona salvata in extremis. Restarono le voci della scappatella del principe, che non poterono venir soffocate e che seguirono Ellington al suo ritorno in America come un alone di leggenda. A Londra Ellington incise del materiale e sembra che la presenza del "batterista reale" sia documentata in un paio di "alternative takes", evidentemente non distrutti, di "Harem speaks", "Dear old sothland" e forse in "In the shade of the old apple tree". Nessuno poteva ricordare che, accanto ai grandi solisti ellingtoniani - erano già in forza nell'organico Cootie Williams, Lawrence Brown, Barney Bigard, Johnny Hodges, Harry Carney e altri fior di jazzisti - accovacciato dietro i tamburi ci fosse l'erede al trono. La stampa inglese ha dato ampio risalto all'indiscrezione e altro ne darà al momento della pubblicazione e non dovrebbe trattarsi di una bufale da marketing, visto che, purtroppo, il business nelle cose jazzistiche, anche se si parla di Ellington, è sempre molto relativo. Certo è che l'amicizia fra musicista e principe non fu superficiale, al contrario si basava su passioni comuni e affinità artistico-musicali non indifferenti. A quell'epoca i critici già facevano paragoni tra l'armonia ellingtoniana e quella impressionistica europea del genere Debussy, Ravel e Delius. Quando Ellington venne per la prima volta paragonato a Delius, non aveva mai sentito neppure una battuta di questo importante compositore. Ebbene, fu il Principe di Galles a fargli ascoltare la variegata tavolozza armonica del compositore, anche se ogni vicinanza è sempre apparsa a tutti più che temeraria. C'è da dire che nel 1933, nonostante il grande successo al "Cotton Club", Duke Ellington attraversava un momento di crisi: pretendeva a ragione maggior considerazione artistica, che certo non sarebbe potuta arrivare dai locali da ballo. E fu proprio questo periodo di instabilità a spingere il maestro ad accettare quel primo viaggio in Euiropa, ad onta della sua paura di attraversare l'oceano nel quale la nave "avrebbe dovuto affrontare il pericolo degli icebergs". A convincerlo furono Irving Mills, impresario, editore, co-autore e press agent , ma soprattutto Jack Hilton, buon direttore d'orchestra e agente teatrale che in seguito avrebbe dato vita ad una celebre catena alberghiera. A Londra il primo concerto non andò benissimo. Ellington aveva puntato su "Black and tan fantasy" o "Creole rhapsody", ma fu grazie al tempestivo consiglio del Principe di Galles che si buttò su temi più popolari, per i quali del resto era già apprezzato nel Regno Unito e il successo arrivò puntuale. «La cosa più importante che ho trovato a Londra - ammise anni dopo Duke Ellington - è stata lo spirito: mi tirò su da una brutta depressione. Questo è il genere di cose che vi dà il coraggio di andare avanti. Se pensano che io sia tanto importante, mi sono detto, allora forse è vero, forse la nostra musica significa qualcosa».

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