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Il piacere di mascherarsi da brutte in una televisione di Veline e Miss

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alla radio; al cinema; sulle pagine del principale quotidiano torinese; e su quelle dei suoi libri, venduti a milioni di copie. Se l'umorismo pungente, e spesso spregiudicato, del ciclone Luciana Littizzetto ci aggredisce piacevolmente da una decina d'anni sul piccolo schermo, è nelle classifiche dei best-seller che la sua comicità al curaro si va imponendo come un raro fenomeno, grazie al record di oltre tre milioni di libri, venduti in Italia in circa tre anni. Luciana, che effetto fa essere un'autrice che vende più di Susanna Tamaro? «In un Paese dove ci sono autori che continuano ad emergere e che non riescono mai ad affermarsi (anche se nel loro caso si tratta di letteratura), un successo così grande è molto gratificante: significa che c'è una gran quantità di gente che mi segue e mi vuole bene. Che dire? Dan Brown stai attento, che prima o poi ti batto. Tanto più che ora i miei titoli li pubblicano anche all'estero, in Portogallo, Spagna, Repubblica Ceca». Facciamo i conti: il suo primo libro, "Sola come un gambo di sedano", uscito nel 2002, ha venduto un milione e 300mila copie; il secondo, "La principessa sul pisello", ha superato il milione di copie; il terzo, uscito a Natale, "Col cavolo", finora ha toccato le 700mila copie. La popolarità televisiva può aver favorito questo successo? «Non credo che il pubblico delle "Iene" si sia messo in coda fuori dalle librerie per comperare i miei libri. La mia popolarità è trasversale e il successo di vendite dei miei testi va oltre quei telespettatori che da me si aspettano la battuta forte. Per questo non aveva molto senso l'attacco che ho subito da Giorgio Bocca quando ha scritto l'articolo contro i libri dei comici. Per fortuna, è intervenuto in mia difesa Carlo Fruttero che ha elogiato il mio secondo libro fino a sostenere entusiasticamente che ci sono dei pezzi da imparare a memoria». Che cosa ribatte a chi bolla come volgari le sue battute forti? «Io non scrivo volgarità. Il male sta nelle orecchie di chi ascolta molto di più che nella bocca di chi dice. La battuta "un calcio nel culo" può evocare diversi tipi di immagine e di violenza: non dipende da come io dico a Baudo "levati dalle palle"». Baudo lo ha anche baciato al Festival di Sanremo. «Roberto Benigni ha sempre espresso questo tipo di arte, ma se lui parla della passera è un genio, se lo faccio io, invece, sono volgare. Creda a me, la volgarità sta solo nella testa di chi la pensa». Sento che sta per tirare fuori l'accusa di discriminazione femminile. «Bravo, ci è arrivato da solo. Lo sa che i miei genitori si opponevano gentilmente, chiedendomi se fossi scema a voler fare l'attrice. Loro pensavano a Sophia Loren e, a chi gli domandava di me, rispondevano: Luciana fa delle recite. Così, mi sono dovuta diplomare in pianoforte al Conservatorio e laurearmi in Storia del melodramma. Insegnavo piano e con quei soldi mi pagavo la scuola di teatro. Sa quante volte quei tre bastardi di "Mai dire gol" hanno cestinato le mie cassette solo perché sono una donna?». Come sono nati i primi, irresistibili, personaggi? «Tutto è cominciato al collegio, dalle suore, dove mi avevano rinchiusa: è stato lì che ho affinato le armi della fantasia per evadere. Poi, a 18 anni, ho fatto la supplente alle Vallette di Torino, zona tosta. Mi guardavo intorno e osservai che in periferia le ragazze meno carine per farsi notare assumevano gestualità e modi maschili. Da lì è nato il mio personaggio "Minchia Sabri". Non ho mai fatto parte delle grandi famiglie televisive. Sono arrivata in tv su Raitre, a "Cielito lindo", con Bisio e Athina Cenci, dopo anni di birrerie e di gente che ti mangia gli hamburger in faccia. Può scrivere che sono di sinistra e femminista, anche se non ho mai partecipato alle lotte, né in piazza, né in tv, come hanno fatto altri, bravissimi colleghi, tipo Luttazzi e Guzzanti». Cosa risponde al critico televisivo che ha rimproverato a lei e ad altri comici di sinistra di gettarvi

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