Tocqueville: la democrazia è una chimera, meglio il liberismo
Tuttavia, vi sono assai pochi scrittori che, con il passare degli anni, conservano una freschezza analitica e una densità di suggestioni interpretative come Alexis de Tocqueville (1805-1859). Basta aprire a caso il suo capolavoro, la «Democrazia in America», che - appena trentenne - gli garantì una vasta fama e la cooptazione all'Accademia di Francia, e leggere, per esempio, la previsione che gli Stati uniti si sarebbero espansi sino al Pacifico, che sarebbero cresciuti sino a oltre i cento milioni di abitanti e che il mondo avrebbe visto l'affermazione di americani e russi (e questo è stato vero almeno sino al 1989). Il senso della storia, nel passaggio d'epoca tra il XVIII e il XIX secolo, che Tocqueville visse consapevolmente sino in fondo, si definisce nell'affermazione della moderna democrazia; un'affermazione che avviene al presente, poiché «il passato non rischiara più l'avvenire» e «il futuro avanza nelle tenebre». Oltre la superficie, l'affermazione del filosofo francese intende sottolineare la dilatazione, quasi a dismisura, del tempo presente, tipica dei regimi democratici, che s'impone come il terreno - tutto "politico" - di convergenza e di mediazione, dove s'incontrano il passato e il futuro. In effetti, l'elemento essenziale dell'affermazione della democrazia si configura nella concretezza del "qui e ora", un'ipertrofia del presente che, appunto, lungo la linea del tempo si allarga a ritroso e anche in avanti, abbracciando i miti storici del tempo che fu e il sogno di un radioso domani. Al di là dell'Atlantico, la democrazia è un modo di essere di quella società che la esprime, mentre nel Vecchio Continente è anzitutto un sistema politico, che si impone nei confronti delle articolazioni del corpo sociale. Anche in questo caso egli ha colto nel segno, poiché ciò spiega le degenerazioni totalitarie dell'Europa nel corso del Novecento, secolo della grande diffusione, a livello planetario, della democrazia intesa quale migliore ordine politico tra quelli possibili. Discendente da una famiglia dell'aristocrazia normanna, Tocqueville nacque nel 1805, nel cuore di quell'età napoleonica che rappresentava la concreta eredità politica del ciclo rivoluzionario iniziato nel 1789, con il quale era necessario "fare i conti". La grande Rivoluzione non s'imponeva infatti come una frattura, ma rappresentava solo il capolinea della civiltà di Antico Regime - della quale la sua famiglia d'origine era espressione e che fu archiviata una volta per tutte nella notte del 4 agosto - e, nello stesso tempo, secondo un rapporto di stretta interdipendenza, non di sequenza cronologica tra due epoche diverse, lo start-up dell'affermazione dei principi democratici di liberté e di egalité nel Vecchio Continente. Il radicalismo democratico rivoluzionario affondava le proprie radici nelle pieghe dell'assolutismo monarchico e s'imponeva "qui e ora", nel tempo presente, dov'era approdata la modernità, diretta verso l'affermazione di quella «uguaglianza delle condizioni» - come l'avrebbe chiamata - che è il tratto distintivo della democrazia; un'uguaglianza che altro non significa se non pari opportunità di tutti i cittadini nel rivestire le cariche pubbliche, prima esclusivo appannaggio dei ceti privilegiati. In fondo, gli interrogativi che Tocqueville - esponente del liberalismo aristocratico francese (perciò è stato definito il "Montesquieu del secolo decimonono") - si pose nel tentativo di "fare i conti" con la Rivoluzione e la sua eredità furono gli stessi ai quali cercò di rispondere esplorando gli Stati Uniti. L'idea-madre - espressione che gli fu cara - era quella di confrontare la dinamica di affermazione della democrazia e l'analisi dei meccanismi del suo funzionamento in un paese, l'America, ove s'era imposta senza ostacoli con quella di un altro paese, la Francia, dove era sorta sulle rovine dell'assolutismo, che avrebbe ineluttabilme