«Film addio, chiedo l'elemosina»
Esattamente come fa Paolo Villaggio che conserva intatto, col passare degli anni, il suo umorismo, cinico, acuto e un po' grottesco. Le mille esperienze lavorative che ha attaversato - dal cameriere allo speaker della BBC, dal cabaret all'intrattenitore sulle navi da crociera - gli hanno permesso di maturare i suoi storici personaggi. Prima l'ipocrita Giandomenico Fracchia e poi il personaggio che lo ha consacrato ad un successo imperituro: Fantozzi. Il primo film, «Fantozzi», è diretto da Luciano Salce nel 1975 e l'ultimo, «Fantozzi 2000 - La clonazione» da Domenico Saverni nel 1999. La maschera di Fantozzi è quella dell'impiegato servile, impacciato, fisicamente tozzo, terrorizzato dai superiori, complessato, timido, vittima dei mass media e del consumismo, sfortunato con le donne, grottescamente incapace di adeguarsi ai modelli sociali che pure mitizza. Oltre ai personaggi comici, Villaggio ha interpretato anche cinema d'autore e teatro. È stato diretto da Federico Fellini nel suo ultimo film, da Ermanno Olmi, Lina Wertmüller, Mario Monicelli e, dopo aver ricevuto il Leone d'oro alla carriera, ha interpretato nel 2000 il sadico odontotecnico in «Denti» di Gabriele Salvatores, mentre Strehler lo ha diretto in teatro, ne «L'Avaro» di Molière. Villaggio, dopo tanti successi, quali sono ora i suoi progetti? «Con il cinema ormai ho chiuso. L'ultimo film in cui ho recitato è "Gas" di Luciano Melchionna. Ma adesso i film italiani sono inutili, se non brutti, e io ho esaurito la mia vena cinematografica. Persino Fantozzi è finito. Quindi, preferisco scrivere o andare in giro per l'Italia a fare spettacoli, per elemosinare un po' di soldi: faccio il ballo dell'orso, ma - come fanno tanti spettacolanti di oggi - non racconto le barzellette perché le odio, non dico parolacce, non parlo in dialetto e soprattutto non parlo male di Berlusconi». In cosa consistono le sue esibizioni? «Si tratta della ripresa di aneddoti raccolti nel mio libro "Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda", che sono io. Non è un'autobiografia, ma un resoconto della storia della mia generazione, uscito già tre anni fa, ma sempre attuale. Da lì traggo ispirazione per le mie esibizioni nelle piazze italiane. Poi, il prossimo inverno lo porterò in scena in diversi teatri». Cosa proporrà al Gay Village di Roma, nello spettacolo in programma il prossimo 8 agosto? «Al Gay Village capitolino reciterò "Il lamento delle Vergini" di Jacopone da Todi, con musiche di Bach e "Il cantico delle creature" di San Francesco, sotto le note del brano "Imagine" di John Lennon: lo trovo perfetto per la sacralità e la fede francescana». Qual è il suo rapporto con la fede? «Non credo nella religione, non credo nella magia e nell'aldilà ci credono solo quelli che si fanno saltare per aria nel tunnel. Noi occidentali abbiamo perso la fede. Mentre gli Islamici hanno fede da vendere: rispetto a noi hanno un disavanzo storico di 620 anni e ora vivono esattamente nell'epoca dei Crociati. E intanto, la Chiesa vieta i preservativi, con tutto il dramma dell'Aids che serpeggia per il mondo; oppure, si lascia prendere dalla vicenda degli embrioni. È assurdo: l'elemento frenante della Chiesa è vergognoso. Fingono di non sapere quale sia la vera grande fede. È quella dei kamikaze, la loro non è una fede primitiva e non c'è poi tutta questa grande differenza tra cultura occidentale e orientale, se pensiamo che sono stati gli Arabi a portarci i numeri, tante valide concezioni di astronomia e mille altre cose. Il Corano dice che chiunque muoia in nome della Guerra Santa va subito in paradiso, senza aspettare il giudizio universale. Perché gli occidentali non scendono a patti? Perché la violenza avanza? Perché l'Islam ci odia? Perché siamo gli oppressori, i Paesi coloniali, i padroni che buttano fuori i Palestinesi e fanno la guerra in nome del petrolio». Quali sono i valori in cui crede oggi? «Credo nell'arte, nella vita, nella fe