Non c'è conflitto tra alchimia e scienza
Ha tentato di spiegarcelo sir Isahia Berlin, ma siccome tutti sono ancora fermamente convinti che la nostra sia, in assoluto, l'epoca della ragione e della scienza, la sua spiegazione non ha avuto molta fortuna. Per questo ancora oggi facciamo fatica a capire che nella nostra cultura possono convivere Vanna Marchi e Rita Levi Montalcini proprio perché concepiamo la scienza come una "magia che funziona" e confondiamo il ragionare con il convincere. Che questa confusione non sia di oggi né che alberghi solo nella testa degli incolti è un contributo di chiarezza che può venirci dalla buona storia, quella che riesce a ridare il colore del vissuto ai dati delle cronache e dei documenti. Soprattutto se scritta con mano leggera come fa Robert Darnton in «Il mesmerismo e il tramonto dei lumi» (201 pagine, 21 euro), uno dei suoi primi libri che solo ora, sull'onda del successo dei più recenti e in particolare di «Libri proibiti», l'editore Medusa offre al lettore italiano nella traduzione di Roberto Carretta e Renato Viola. Darnton ricostruisce la parabola del mesmerismo in Francia dal 1778 alla fine dell'Ottocento e dimostra che, in origine, esso non era affatto estraneo alla cultura illuminista e che la sua trasformazione in setta paramassonica fu successiva al tentativo di inserirsi nel corpo della medicina e della scienza accademica. Lo scontro con l'establishment accademico non isolò il mesmerismo ma lo trasformò in una delle componenti del movimento rivoluzionario senza però alienargli la simpatia dell'aristocrazia prima e della crème del primo impero poi. Questo perchè, dimostra Darnton, nella filosofia del movimento confluivano anche l'infatuazione per la scienza, la fede nel progresso e la sete di meravigliose novità che percorreva trasversalmente la società determinando le lotte per assistere agli esperimenti di Pilatre de Rozier e l'assembramento di folle oceaniche per il lancio di palloni aerostatici, ma anche la credibilità accordata all'invenzione di un orologiaio parigino delle scarpe "elastiche" per camminare sull'acqua, o a quella del marsigliese Adouard che avrebbe consentito di macinare grano all'infinito con un motore a moto perpetuo. Antoine Court de Gébelin, economista e fisiocrate, ma anche teorico della simbologia dei Tarocchi nonchè segretario della Loggia delle Sette Sorelle alla quale appartenevano anche Voltaire e Franklin, giunse a sostenere che i fisici avrebbero dovunque preso il posto dei maghi perché la magia non era, a suo avviso, il contrario della scienza ma piuttosto la sua perfezione. Per questo all'epoca vennero considerati veri scienziati scrittori come Bernardin de Saint Pierre che secondo la felice espressione di Darnton «vedevano fatti dove i posteri avrebbero visto solo la fiction». Qui Darnton offre, quasi senza accorgersene, un contributo forse superiore a quello, centrale nel libro, di dimostrare che il mesmerismo fu prima parte della cultura illuminista per trasformarsi poi in uno degli elementi del controilluminismo dai quali nascerà il romanticismo. Che la separazione dei fatti scientificamente dimostrabili dalla fiction sia una questione più storica che epistemiologica è una considerazione importante anche (e soprattutto) dopo Popper e Latour. Vuol dire che in definitiva anche nella scienza, come nella storia, sono solo i posteri a poter distinguere la "verità" da ipotesi infondate o deliri metafisici. E il mesmerismo ne è un buon esempio: in una cultura che aveva accettato la forza di attrazione gravitazionale senza conoscerne il fondamento fisico, e che era sedotta dagli esperimenti elettrici di Franklin e dall'abate Nollet (il quale pretendeva di curare la gotta con anguille elettriche) chi poteva rifiutare credibilità al fluido magnetico con il quale Mesme