Aida trionfa con la bacchetta di Domingo
TERME DI CARACALLA
Dinanzi a 2500 spettatori - «Prenotano mesi prima da tutto il mondo», precisa il sovrintendente Francesco Ernani, dopo il successo della serata - il capolavoro verdiano, rappresentato per la prima volta al Cairo nel dicembre 1871, oggi era in coproduzione con la Washington Opera, di cui Domingo è direttore artistico. L'apparato visivo e la regìa erano di Paolo Miccichè, che aveva già allestito «Aida» per la Washington Opera utilizzando un sistema di proiezioni, qui più che mai necessario perché non invasivo degli alzati imponenti delle Terme di Caracalla. Le mura erano rivestite di geroglifici - un po' kitsch - mutanti in fronti di templi, colonnati, pareti dipinte, papiri ingigantiti e quant'altro, per restituirci virtualmente un Egitto millenario, comunque scenografico e spettacolare da Grand Opéra, arricchito dagli sfarzosi costumi di Alberto Spiazzi, in una regìa mirata alla monumentalità e alla staticità delle masse sceniche, simbolica di uno Stato egizio assoluto e teocratico. Larga parte in ciò hanno avuto le coreografie di Juan de Torres, lo scattante Riccardo di Cosmo con Anjella Kouznetsova attorti come serpenti, o le creature alate fosforescenti. Non però le danze pseudocomiche estranee al mondo egizio. Placido Domingo osservava in scena Radames - nella voce vellutata di Mario Malagnini - da lui impersonato più di ottanta volte: intanto la sua bacchetta sottolineava la sottigliezza e l'intima espressività dei timbri, talvolta solitari, come il soffio del violino, o del clarino, soprattutto dell'oboe amaro, che frequentemente accompagna la voce di Aida - qui la bravissima Isabelle Kabatu dai possenti respiri - in quest'opera lontana dalla dinamica asciuttezza giovanile verdiana. Via i vecchi entusiasmi della Marcia Trionfale di «Aida», complici gli squilli di tromba per la vittoria di Radames, in quest'opera che sapeva di morte - dall'inizio le immobili guardie di palazzo avevano la testa di Anubi, dio dei defunti - già nelle ferme voci di Giacomo Prestia (Ramfis) e di Carlo Cigni (il Faraone). Il senso di morte era spezzato dalla ribellione violenta del re etiope Amonasro (Juan Pons) padre di Aida, e soprattutto dall'impeto vocale e scenico da furia greca di Mariana Pentcheva (Amneris) per la condanna di Radames: ma trionfava infine, sotterraneo nella dimensione cromatica della preziosa direzione di Placido Domingo.