«Morire per amore è una scelta saggia»
Stremata dai continui rifacimenti della sua casa sui Navigli, il Commendatore della Repubblica Alda Merini, che ha conosciuto la follia e il dolore in seguito ai 12 d'internamento in manicomio, ha preso carta e penna e si è rivolta al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: «Sono esterrefatta dalla mancanza di civiltà che ottenebra il nostro Paese - ha scritto la Merini -. La prego di intervenire e di fare chiarezza sui misteri di questi lavori che da anni vengono compiuti nell'edificio dove vivo da oltre 50 anni». Quando andiamo a trovarla, la voce soave e straziata di Renata Tebaldi-Madame Butterfly è a tutto volume, in contrapposizione ai trapani e ai picconi degli operai. «È un'offesa culturale - protesta la grande vate dei Navigli -. Non si aggredisce il solaio di un poeta per alzarvi sopra altri due piani. Adesso, ho capito che cos'è la follia: è credere che una cosa, benché lampante, non sia vera. E io ancora non voglio credere che esista il male: ecco che cos'è il poeta. Lei che ne dice?». Grande, strepitosa Alda: capace di passare dalla depressione e da consunzioni estreme all'humour leggero come una carezza, cui di solito segue una risata di divertito disappunto. "Un bel dì vedremooo...", spera la Tebaldi pucciniana che commuove la poetessa. «Ma la sente 'sta povera ragazza: che destino terribile. Morire d'amore? Sa, una volta non ci credevo, o meglio, credevo che si potesse morire anche per amore. Invece, lo sfacelo della cultura che ci circonda mi fa pensare che sia possibile. La speranza in un altro, o negli altri, ci aiuta a sopravvivere. Ma se perdi questa speranza, tutto crolla. E, allora, sì, si può morire d'amore. Lei che dice?». Dico che l'assedio edilizio che la tormenta potrebbe essere bilanciato dal riconoscimento della sua arte e del suo lavoro. Sono tantissimi a volerle bene e di questi tempi sono state pubblicate due sue opere, da editori diversi: "Le briglie d'oro" per Libri Scheiwiller, che raccoglie le sue poesie dall''89 al Duemila; e "Uomini miei. Brandelli di un'autobiografia sentimentale", per Frassinelli. Non è contenta? «Sono arrabbiata con l'Arnoldo (la Merini chiama così la Mondadori che, a sua volta, gestisce Frassinelli). Una è punita con una vita di attesa, viene spedita in manicomio da un marito che si crede, a torto, tradito da altri amori incredibili... E questi si precipitano a pubblicare. Ma che fretta hanno? Così sbranano i poeti (mi raccomando, non lo scriva). Non sanno cos'è l'amore. In pochi siamo usciti dal manicomio e ci siamo salvati. Io sono stata per 15 anni senza scrivere e non mi sono mai dannata. È difficile diventare poeti, sa: bisogna far sedimentare i sentimenti. E questi giocano. Morire d'amore è stupido, ma almeno ha la sua etica. Che ne dice?». A volte, gli interessi commerciali prevalgono. «Interessi commerciali? Preferisco un amore. Il poeta, in fondo, ha paura di morire. Ma quelli se ne strafregano: bisogna vivere, divertirsi. Ma noi non ci siamo divertiti a scrivere. Capisce? La sente, la Renata ("... un fil di fumoooo..."). Questa non è l'epoca per parlare d'amore, non c'è l'idea del sacrificio, si può parlare di divorzio. Noi eravamo fatalisti, e poveri: avevamo l'etica della felicità. Oggi, non c'è etica. È vero o no?». Noi chi? Lei e i suoi uomini: suo padre, suo marito Ettore Carniti (zio del sindacalista Pier), l'editore Vanni Scheiwiller che la spinse a riprendere a scrivere, il clochard Pierre che si portò in casa e vi restò per due anni, lo scrittore Giorgio Manganelli con cui era in continua baruffa? «Che uomini: tutta gente che mi ha voluto bene e che mi ha desiderata. Certo, Manganelli era notoriamente brutto, ma aveva una mente. Il poeta sceglie il contenuto. Vanni era un gentleman, Pierre aveva una fierezza. I ragazzi d'oggi, invece, sono ben messi, desiderabili... però, di poco contenuto. Ma l'amante supremo del poeta è l'arte, che è anche la tira