Con «La città morta» il D'Annunzio inedito musicato dai francesi
Questo dramma lirico, tratto dal Vate dalla sua stessa tragedia «La città morta» del 1898, rappresenta infatti una completa realizzazione delle idee di teatro musicale - basato sulla inscindibile unione di musica e parola - di Gabriele D'Annunzio, che frequentava i compositori e le cui opere sono state spesso musicate da Pizzetti, Mascagni, Casella, Zandonai (mentre fallirono i suoi tentativi presso Debussy e Puccini). Ne «La ville morte» quattro personaggi, la cieca Anne e il poeta Alexandre, Hébé e suo fratello l'archeologo Léonard, a Micene - dove Léonard, nuovo Schliemann, scopre i gioielli delle tombe minoiche - vivono un dramma simile a quello degli Atridi, per cui di Hébé si innamora Alexandre, mentre il fratello vive con lei un amore incestuoso, da cui si libera affogando la fanciulla nella fonte Perseia. Il libretto, più breve della tragedia, fu scritto nel 1909 in francese da D'Annunzio, d'intesa con la giovane Boulanger allieva di Fauré e col compositore e suo docente Pugno, la cui partitura per pianoforte e canto - vicina al clima musicale ed estetico del «Pelléas et Mélisande» di Debussy - pervenuta integralmente, fu ultimata nel 1913. Lo scarso adoprarsi di D'Annunzio per la messa in scena a La Monnaie di Bruxelles, la morte di Pugno e lo scoppio della guerra, impedirono l'attuazione del progetto, rimasto inedito. Nonostante l'esistenza di frammenti di orchestrazione dei due compositori francesi, Aldo Bennici ha preferito, per motivi di unità stilistica, affidare in toto l'orchestrazione de «La ville morte» a Mauro Bonifacio, che la ha portata a termine con grande fedeltà e intelligenza musicale della fluidità armonico-melodica della partitura francese, modellata sulla torbida psicologia dei protagonisti. Ma nella rappresentazione dell'opera entro la settecentesca chiesa di Sant'Agostino, completamente rivestita ahimé di tendaggi avorio per ovviare ai problemi di acustica, che hanno comportato l'amplificazione delle voci soliste di Letitia Singleton, Randal Turner, Michelle Canniccioni e Lorenzo Carola, non si percepivano pienamente i valori di timbro e di unità di suono di orchestra e voci, nonostante gli sforzi del franco-svizzero Luca Pfaff alla direzione della Camerata Strumentale Città di Prato col Coro Guido Monaco di Prato. Nella scenografia del regista Massimo Luconi affiorava, come nei costumi di Paola Marchesin, la sovrapposizione temporale tra moderno e arcaico degli eventi drammatici: ma permaneva certa frammentarietà esecutiva, nell'indubbio valore complessivo dell'iniziativa. Successo di pubblico.