di AUGUSTO BASSI SI LEGGE una surreale smorfia di rassegnazione sui volti della gente, in questi giorni di lutto.
Anestetizza piuttosto. La psicologia delle masse insegna come la rimozione sia il più prevedibile dei sentimenti umani collettivi. La stampa, al contrario, sembra scossa, e sembra voler scuotere coscienze e istituzioni. Sulle pagine di molti giornali si delinea infatti, ormai con demoralizzante regolarità, l'abuso di formule d'altri tempi, stereotipate e scolastiche, chiamate a divulgare superstizioni ideologiche che non stanno più in piedi (se mai lo sono state). Si parla di un'Europa stramazzante, unanimemente descritta come simbolo politico dell'ignavia, del fatalismo, dell'inettitudine. Vi è poi chi si avventura nel revisionismo, come Ernesto Galli della Loggia sul «Corriere della Sera» di domenica scorsa, legando a doppio filo la fine dei deliri egemonici novecenteschi con l'inizio della miopia politica e dell'apatia morale europea, la fine dei totalitarismi con gli interrogativi post-undici settembre. Galli della Loggia scrive: «Porsi queste domande non solo equivale a porsi quella del perché l'Unione Europea non riesce ad esistere come soggetto politico, ma obbliga a riflettere ancora una volta sull'esito catastrofico che per l'intero continente è simboleggiato dalla seconda guerra mondiale con la sua appendice decisiva del 1989, data del crollo dell'ultima grande ambizione egemonica eurocentrica». Galli della Loggia prosegue: «Nel fuoco di quegli eventi, rovinosi per tutte le statualità europee (con la parziale eccezione di quella britannica), andò distrutto per sempre l'enorme accumulo di conoscenze, di sensibilità e di esperienze - nonché di ambizioni per l'appunto - che legava da secoli la storia d'Europa e delle sue classi dirigenti alle vicende del globo. Il mondo cessò allora di appartenere all'Europa, e l'Europa al mondo: prima ancora che da un punto di vista politico da un punto di vista culturale». Galli della Loggia colpisce nel segno più di quanto immagini: la frammentazione infatti è il problema. Sfortunatamente la sua analisi imbocca però un sentiero ambiguo. Se l'analisi di Galli della Loggia fosse giusta dovremmo considerare «catastrofica» la caduta del nazi-fascismo prima, e dello stalinismo poi? Dovremmo rimpiangere il piglio manageriale della «classe dirigente» bolscevica o il respiro internazionale degli imperi coloniali? Se gli analisti brancolano maldestramente nella luce delle loro «ragioni», i cittadini non vedono l'ora di tornare a pensare alla pagina sportiva e all'abbronzatura. Si accusa l'Europa di essere sfilacciata, negli intenti e nei principi. Sfugge così, l'anima stessa della nostra tradizione laico-repubblicana che si basa sulla possibilità di controversia. La moralità liberale è volatile e differenziata perché fonda in sé il confronto e la tolleranza verso la differenza. Per contro, la sfida ci viene da chi può ancora permettersi il lusso di indottrinare le menti, di «anabolizzare» le certezze con il Sacro, di persuadere con la coercizione. Il confronto è impari. La morale liberale laica è una teoria neutrale rispetto all'attore. Cosa, questa, che non si può certamente dire di una fede rivelata che invece è intrinsecamente relativa rispetto all'attore. Ecco perché fatichiamo a trovare musulmani (di nascita medio-orientale) filo-occidentali. Le virtù della nostra tradizione, laico-liberale, ci rendono ingenui di fronte a noi stessi e deboli davanti agli attacchi esterni. Ecco allora spiegato il cattoconservatorismo repubblicano, e la sua condotta paranoico-emergenzialista, come estremo tentativo di compattare e uniformare una società irriducibilmente plurale. La moralità liberale non è attrezzata per resistere all'attacco dell'intolleranza e della barbarie. Non produce gli anticorpi necessari per difendersi. Noi europei dobbiamo al più presto rendere monumentale questa granitica evidenza, ma, alla ricerca di una soluzione che regga, si può rotolare direttamente nel baratro opposto: quello dello stato di polizia. Saremo dunque destinati a soffocare la libertà per garantirci la sicurezza? O dovremo vivere in un costante st