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A Spoleto l'opera dimenticata di Haendel

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«Fernando Re di Castiglia» eseguita al Caio Melisso per la direzione del musicologo Curtis

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Riportare sulla scena una dimenticata opera di Haendel, nel predestinato Teatro Caio Melisso, ed affidarla alla direzione di uno specialista filologo come Alan Curtis, musicologo americano che ha scelto l'Italia come Paese di elezione, erano infatti due motivi di attenzione, come negli Anni ruggenti del Festival spoletino. L'opera, il Fernando Re di Castiglia, è in realtà la prima versione di Sosarme, proposto in versione discografica con ampi tagli tanti anni fa da Alfred Deller. Sembra che la sfortuna della prima edizione si debba ai buoni rapporti tra la corona inglese e quella portoghese, che nel primo libretto, forse di Noris, dall'originale di Salvi per Perti, non usciva proprio indenne da giudizi negativi. E difatti l'opera si svolge a Coimbra, in Portogallo, dove la numerosa famiglia del Re Dionisio e della regina Isabella è dilaniata da invidie e lotte fratricide tra Alfonso, divorato dalla smania di potere, e il figlio naturale Sancio, più affezionato al padre. La terza figlia, la delicata Elvida, vive invece a latere una storia d'amore, poi culminata in giusti imenei, con Fernando, Infante di Castiglia. La scena è quella dunque di una corte piena di intrighi e congiure di palazzo, dove ai rari momenti d'amore sincero tra i due giovani innamorati, fanno da contraltare la ragion di stato reale e la rivolta. Il regista Jakob Peters Messer ha voluto rileggere in chiave moderna la vicenda, ambientandola in una anonima corte di inizio Novecento, con frac bianchi, poster di lattine alla Andy Warhol sui muri, pistole, ed avvalendosi di un pratico pannello girevole multiuso che divide i vari ambienti del Palazzo. Alla guida del suo eccellente Ensemble barocco, Curtis ha scelto un cast d'eccezione con ben tre controtenori dalla pastosa e morbida cantabilità quasi a gara tra loro (nei ruoli dei castrati d'epoca): l'appena ventiquattrenne ma già maturo David Hansen (l'innamorato Fernando), Max Emanuel Cencic (il fido Sancio) e Michele Andalò (il ribelle Alfonso). In evidenza anche la biondo platino Cyrille Gerstenhaben (passionata Elvida) e la stupenda Marianna Pizzolato, una Isabelle tragicamente divisa dalla fedeltà coniugale per il marito e l'affetto per il figlio traditore aizzato dall'ambiguo generale Altomaro. L'opera, pur non essendo tra le migliori di Haendel, vibra di belle pagine vocali affidate al belcantismo degli eletti interpreti: il solito variegato campionario di artie e di "affetti" barocchi, ma anche un paio di movimentati duetti. Calorosi consensi per tutti.

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