L'uomo che sfidò se stesso
È la storia - narrata da Edgar Allan Poe - di un uomo perseguitato da un omonimo, dal volto coperto, che lo perseguita per anni, rivelando le sue malefatte. Una specie di coscienza in carne ed ossa, insopportabile per chi ha molti peccati da farsi perdonare. Alla fine - durante un ballo in maschera - il protagonista riesce a trascinare il suo omonimo in una sala deserta e lo sfida a duello. «Lo incalzai senza tregua, lo strinsi contro la parete di legno, fu alla mia mercé e gli immersi la spada con brutale ferocia più e più volte nel petto». La maschera e il mantello giacevano sul pavimento. Il volto dell'uomo morente, macchiato di sangue gli sembrò il suo, riflesso in uno specchio. «Non un filo del suo abbigliamento, non un tratto in tutti i lineamenti marcati e singolari del suo volto, che non fossero, nella più assoluta identità, i miei! Era Wilson. Ma non parlò più sussurrando e io avrei potuto immaginare di essere io stesso a parlare, mentre pronunciava queste parole: Tu hai vinto, e io cedo. Tuttavia, da questo momento anche tu sei morto, morto al mondo, al cielo, alla speranza. Tu esistevi in me e, nella mia morte, lo puoi vedere da questa immagine che è la tua, tu hai per sempre assassinato te stesso». Una confessione? E di chi? Di Edgar o di William? M. T.