La sfida del futuro: conciliare tradizione e riforme
Queste: «Lettore, supponi di essere un idiota; e supponi di essere un membro del Congresso. Scusate, oggi mi sto ripetendo». Il gusto della battuta, si capisce: ma anche un indicatore sincero della scarsa popolarità che già alla fine dell'Ottocento, negli Stati Uniti, circondava i politici. Considerati - ed esiste una vastissima letteratura in proposito, che va indietro nei secoli, e riguarda il mondo intero - corrotti e incapaci, indifferenti alle esigenze (e ai diritti) dei cittadini, impegnati soltanto a farsi la guerra fra di loro, in una insana lotta per il potere. Viene da pensare - e sono in molti a pensarlo - che la situazione non sia migliorata granché negli ultimi decenni, e negli ultimi anni. Che l'interesse generale sia stato sempre più oscurato dalle beghe personali, che la politica abbia progressivamente lasciato spazio a qualcosa d'altro. Oggi prevale l'antipolitica. Vale a dire «un pragmatismo insulso, volgarotto, sguaiato, privo di principi, come la nuova politica, fondata sulla realizzazione immediata, sulla geometrica potenza del denaro e sul profitto come misura di tutte le cose, in linea, peraltro, con lo spirito del tempo, sulla banalizzazione della costruzione del "bene comune" che ha sempre ispirato, magari sbagliando, la politica autentica». Un giudizio spietato, che reca la firma di un politico (per certi aspetti sui generis) che dal 1996 ha occupato un seggio in parlamento, nei banchi di Alleanza Nazionale, ma che si è sempre impegnato - soprattutto - nella cultura politica, fondando riviste e scrivendo saggi: Gennaro Malgieri (eletto qualche settimana fa consigliere d'amministrazione della Rai) ha dato alle stampe (editore Rubettino, 10 euro) un volumetto stimolante, «Conversazioni sulla Destra», nel quale - rispondendo alle domande di Giancristiano Desiderio e Gerardo Picardo - mette a nudo le carenze della politica attuale, senza badare troppo ai destinatari delle sue sciabolate. Ce n'è per tutti - destra, centro e sinistra - in una analisi intellettuale lucida e e nient'affatto benevola, animata però da uno spirito costruttivo. Gli appunti più severi Malgieri li ha rivolti alla sua parte politica, incapace di dare «un'anima» alle proprie scelte. «Senza una cultura di riferimento», argomenta Malgieri, «non è pensabile una politica di lungo respiro». Il discorso riguarda tutti, ovviamente: «La priorità della cultura - che la politica, a prescindere dagli schieramenti, sembra non riconoscere più da tempo immemorabile ed è questa una conseguenza della cosiddetta fine delle ideologie - è indispensabile all'elaborazione di un progetto che si ponga l'obiettivo di intervenire profondamente nelle dinamiche della società civile». Occorre un «radicamento culturale»: è necessario scavare nelle proprie radici. Un problema molto attuale (particolarmente evidente nella costruzione, un po' sbilenca, dell'Europa Unita) è che l'antipolitica non è è il prodotto, soltanto, delle beghe o degli interessi individuali, ma anche della delega in bianco che ha autorizzato i tecnocrati a invadere spazi eccessivi, e non di loro competenza. Malgieri non lo dice, ma accadde qualcosa del genere una trentina d'anni fa, quando i sindacati si assunsero ruoli di gestione del bene pubblico che la politica aveva lasciato scoperti; oggi questo accade con lo strapotere dei banchieri e della finanza, e con certe logiche estreme del mercato che non trovano i correttivi che la politica dovrebbe dettare, se non vuole rischiare di ridursi a mera amministrazione. La Destra - nella logica bipolare che fatica tanto ad affermarsi in Italia - deve avere, secondo Malgieri, alcuni tratti fisiognomici fondamentali: il sentimento di appartenenza e l'idea di nazione, il patriottismo (che unì tutti gli italiani nei giorni successivi all'attentato di Nassiryia, la tolleranza nei confronti degli avversari (che non devono essere considerati «nemici»), l'apertura massima alla partecipazione dei cittadi