Arriaga, il fascino del destino
È Guillermo Arriaga, sceneggiatore di «Amores Perros» e «21 grammi», che oggi pomeriggio nella Casa del Cinema a Roma presenta «Un dolce odore di morte», il suo primo romanzo, pubblicato ora in Italia da Fazi Editore, traduzione di Stefano Tummolini. Nonostante la paura della morte, però, la sua è una letteratura che odora di vita. È d'accordo con questa definizione? «Non solo sono d'accordo ma felice. È esattamente la mia intenzione. Quasi tutti i giornalisti mi chiedono della morte e non della vita. Io non faccio altro che usare la morte come uno specchio per parlare della vita». In «Un dolce odore di morte» protagonisti sono due giovani. Perché tutto questo interesse per il mondo giovanile? «Nei miei romanzi ci sono personaggi di tutti i tipi ma, essendo stato docente universitario per molti anni, mi interessano i giovani e le loro preoccupazioni». Come vivono i giovani messicani oggi? «È strano ma vivono come i giovani di altre parti del mondo con una grande angoscia rispetto al futuro e un senso dell'ironia pungente, ma con poca voglia di andare a fondo perché la realtà gli fa male. Un sentimento che trovo comune a quasi tutti i giovani dell'America Latina». È ancora così forte il sogno americano? «Non è il sogno ma l'incubo americano. Per loro è solo un modo per sopravvivere. Non ho conosciuto nessun messicano che ci vada contento, vanno con preoccupazione, angoscia». In "Un dolce odore di morte", Ramòn e lo Zingaro sono travolti da un destino a cui non possono sfuggire. Crede nella predestinazione? «Tutto il romanzo è costruito come una tragedia in cui i personaggi non possono sfuggire alle circostanze. Essendo ateo non credo che sia una forza divina a muoverli ma le conseguenze delle azioni degli uomini. Per i greci il peggior castigo era non poter sfuggire al proprio destino». Come nasce il grande amore per gli animali? «Perché sono cacciatore. L'amore sta nel fatto che conosci profondamente la tua preda e non dimentichiamo che parole come venario e venerio in spagnolo vengono dalla stessa radice che è venus, venere. Venere è l'unione di eros e tanatos, amore e morte. Quando cacci un animale e lo mangi lo fai diventare parte di te». Incuriosisce molto la sua capacità di incrociare i destini delle persone. «Mi interessano le circostanze fortuite ma ancora di più sapere come reagiscono di fronte ad esse gli essere umani. Ortega y Gasset diceva "io sono io e le mie circostanze". Mi interessano i personaggi che seguono la loro volontà anche contro le circostanze o in conseguenza di circostanze avverse». In gioventù ha rischiato di morire. Dopo la malattia come cambia il rapporto con la vita? «Ho avuto un'infiammazione al cuore. Il medico mi disse che l'infiammazione era molto grave e probabilmente non avrei superato la notte. Ho guardato le mie mani e ho pensato magari domani saranno le mani di un cadavere. Se così non sarà ci devo fare qualcosa di importante. Così ho iniziato a scrivere perché l'arte è una forma di lotta contro la morte. È un modo per affermare la vita».