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L'Europa senza sogni di Zanussi

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Il regista parla di «Persona non grata» che andrà a Venezia

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Come presidente della giuria della categoria Miniserie, il regista polacco ha contribuito a far assegnare la Ninfa d'oro del Festival monegasco alla fiction di Mediaset «Paolo Borsellino», di cui ha apprezzato il rigoroso messaggio sociale nel ricordo della lotta contro la mafia del valoroso giudice siciliano; come autore, invece, Zanussi si prepara ad esprimere il suo sgomento sulla perdita di valori delle giovani generazioni occidentali con il film «Persona non grata» che proporrà in concorso al Lido, dove vinse il Leone d'oro, nell'84, con «L'anno del sole quieto». Zanussi, la vittoria italiana a Montecarlo è legittima? «Assolutamente, sì. La riunione finale della nostra giuria è durata appena un quarto d'ora: eravamo tutti d'accordo su chi premiare. La fiction "Borsellino" ci ha commosso per il suo impegno profondo e ci ha convinto per il modo in cui è stata realizzata. Direi che, in generale, le miniserie si distinguono per essere l'angolo di qualità della Televisione odierna; mentre le serie interminabili ne rappresentano il livello più basso». Il suo nuovo film, che vedremo a Venezia, ha un titolo in latino, «Persona non grata» («Persona sgradita») che di solito si usa per bollare gli stranieri espulsi da un Paese. «Il titolo del film riflette lo stato d'animo del protagonista, il quale si sente superfluo nel mondo di oggi, non si riconosce in quello che vede intorno a sé: un po' come capita a me, da qualche tempo». Chi è il protagonista del suo film? «Un ambasciatore polacco, interpretato da Zbigniew Zaphscelvicz. La storia che ho scritto si svolge nelll'ambiente diplomatico internazionale, che ho frequentato a lungo. Il film è una coproduzione tra Polonia, Russia e Italia (Istituto Luce ndr) ed è stato girato a Varsavia, Mosca e Montevideo. Nella capitale uruguaiana incontriamo l'ambasciatore italiano con la consorte, grandi amici del protagonista. Per questi ruoli ho chiesto la disponibilità a Remo Girone e a sua moglie Vittoria Zinny, con i quali ho lavorato in grande armonia e amicizia. Stesso discorso per l'ambasciatore russo, che il mio amico e collega Nikita Michalkov ha amabilmente accettato di interpretare». Il film è una critica ai giovani d'oggi, troppo avidi di cose e digiuni di ideali? «Ogni generazione, quando sta per lasciare il palcoscenico, crede che con essa spariranno anche certi valori. E, dall'altra parte, i giovani della generazione che segue pensano sempre che solo con loro incominceranno a funzionare cose grandi come la libertà e la democrazia. Il mio ambasciatore è un ex di Solidarnosc, lo storico movimento polacco degli anni '80, di cui è prossimo il 25nnale. Non direi che il mio film sia una critica ai giovani, piuttosto è un momento di riflessione per tutti: per che cosa abbiamo combattuto? Che cosa abbiamo ottenuto? Dove va questo mondo così corrotto e privo di quella spiritualità che favorisce un certo distacco dai problemi quotidiani irrisolvibili?». L'appagamento materiale ci rimpiccolisce? «Da 20 anni l'Europa sembra priva di sogni, non ha progetti per il suo futuro, ma cerca solo la preservazione del suo passato. I progetti richiedono sacrifici. Noi ci siamo battuti per la libertà e li abbiamo fatti; oggi, nessuno vuol sacrificare niente. Abbiamo la pancia piena, ma non abbiamo risolto il senso della natura umana. C'è la libertà, ma non basta più a difenderci dall'autodistruzione, dalla droga, dal deficit di spiritualità. La pancia piena e la mancanza di ideali conducono ad accettare l'adozione da parte di un "papà forte": questo è il pericolo. Bisogna smetterla di guardare solo alla sicurezza, al consumo futile: occorre vivere con passione e con impegno, occorre occuparsi degli altri. Persino leggere un buon libro richiede un sacrificio che trova disponibili solo pochi tra i giovani d'oggi. Per puntare a un risveglio bisogna affidarci a quei pochi e farli diventare molti».

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