Bellocchio si sente sempre un ribelle
A pochi mesi dall'uscita del suo prossimo film, «Il regista di matrimoni», abbiamo incontrato Marco Bellocchio. Il suo ultimo film non sarà pronto per il prossimo Festival di Venezia, c'è qualche polemica? «L'appuntamento di Venezia ha un che di liberatorio, non foss'altro che poi il film sarebbe uscito subito nelle sale. E invece dovremo rimandare la distribuzione a Gennaio. Non c'è nessuna frattura con la Mostra di Venezia, anzi». Dopo quarant'anni di attività nel film c'è una riflessione sul mestiere di regista? «Assolutamente casuale. Certo, capisco che un soggetto del genere possa far pensare ad una meditazione "fattiva" sul mio lavoro. Effettivamente, il protagonista è un regista che abbandona la lavorazione di un film (l'ennesima trasposizione de "I promessi sposi") perché estremamente demotivato. Raggiungerà la Sicilia e qui si accorgerà che il suo "essere regista" non conta nulla. Però, almeno per il momento, non vuole essere avvisaglia di alcun ripensamento sul mio mestiere. Non è, per intenderci una riflessione alla 8 1/2 di Fellini». Il cinema è in crisi. E il suo mestiere di regista? «Se non avessi più niente da dire, sicuramente smetterei. Un film nasce da un'immagine, da qualcosa che ti "occupa", che ti batte nella mente. Questo, lo riconosco, è l'egoismo dell'artista: non pensa al pubblico, all'eventuale presa che un suo lavoro potrà avere. Pensa solo ed esclusivamente ad esprimere e, conseguentemente, a veicolare le sue ossessioni». Negli ultimi anni c'è stato un rinnovato interesse verso le sue opere. Perché? «Forse è cambiato il mio linguaggio, il mio modo di esprimermi. Non penso sia diventato più diretto, ma semplicemente è stato supportato da un aspetto realistico che ha permesso ad un pubblico più vasto di orientarsi. Dalla metà degli anni '70 alla metà degli '80 i miei film erano oggettivamente più difficili, più "aristocratici". Anche se il tanto vituperato "Diavolo in corpo" (1986) è stato comunque un successo a livello mondiale. "Diavolo in corpo", ricordo, venne accompagnato da chiacchiere e illazioni che col tempo sono andate però scemando». Lei ha dichiarato: "Tutt'altro che riconciliato, resto un ribelle che però oggi sceglie una lotta senza spargimento di sangue perché non credo più che la sola rabbia possa portare al cambiamento". Cosa occorre per un vero cambiamento? «La rabbia è scarsa di dialettica. Non rinuncio alla rabbia, ma certamente respingo il delitto. E cerco nella dialettica gli strumenti per tracciare una strada al cambiamento».