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L'avvocato che morì per fare il suo dovere

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Il saggio di Renzo Agasso prende le distanze dalla teoria di Stajano dell'«eroe borghese»

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Una definizione obsoleta, ideologica e datata, valida in un'epoca di scontro di classe. Ma oggi che cosa sarebbe Giorgio Ambrosoli? A rivederlo con occhi non meno lirici ma più adeguati ai tempi nel racconto-documento di Renzo Agasso, Ambrosoli resta un eroe. E oggi come ieri un eroe è chi fa il proprio dovere, il proprio lavoro con onestà, dedizione, accettazione consapevole del pericolo. Gli altri sono Rambo. O pazzi incoscienti. Giorgio Ambrosoli sapeva quello che rischiava. Lo ha capito qualsi subito dopo aver accettato il suo ultimo e più importante incarico professionale: liquidare la banca di Sindona. Lo ha capito cinque anni prima di morire. Ne ha avuto conferma gli ultimi mesi della sua esistenza attraverso minacce dirette, per niente velate. Dure. Crudeli. «Lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto! Lei è un cornuto e un bastardo!», gli urlano al telefono il 12 gennaio 1979, sei mesi prima dell'esecuzione. Se parliamo del coraggio epico, degli eroi mitici, dei guerrieri, l'avvocato Ambrosoli non era più coraggioso di nessuno di noi. Allora che cosa lo ha spinto nelle mani dei suoi carnefici quando poteva tranquillamente chiudere un occhio, come avrebbero fatto, ieri e oggi, molti suoi connazionali e colleghi, e sottrarsi così alla sua tragica sorte? Dove trovava i motivi e la forza per rinunciare alla vita, per lasciarsi alle spalle una vedova e due orfani in lacrime? Per chi? Per uno Stato che non lo aiutava, non lo proteggeva, non lo ringraziava e non era neanche presente ai suoi funerali? Per gli italiani, che l'hanno ignorato quando era vivo e dimenticato dopo la sua morte? No. Né per questo, né per altro. Giorgio Ambrosoli non aveva bisogno di ringraziamenti per fare il suo dovere. Il coraggio e la forza di continuare malgrado gli ostacoli, l'isolamento e la certezza di essere nel mirino dei killer li trovava nella fiducia che nutriva con solidità nel diritto. Nella libertà degli individui di perseguire il bene collettivo. Di punire il male. Per questo, nell'Italia dell'eterno menefreghismo, del tirare a campare, di un edonismo consumistico che continua ad affondare le sue radici in un passato machiavellico viziato dalla mancanza di un'identità comune, l'avvocato Ambrosoli è un esempio. Da seguire. Oggi più di ieri. Renzo Agasso «Il caso Ambrosoli» San Paolo 176 pagine, 12.50 euro

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