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Un western allucinato per Cassel

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L'attore: ho conosciuto una realtà diversa fra deserti e sciamani

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Liberamente ispirato alla famosa striscia di Moebius, il film vede lo sceriffo di Palomito, Blueberry (interpretato da un sorprendente Vincent Cassel), alle prese con un misterioso assassino, Wally Blount (Michael Madsen), ma soprattutto alle prese con i suoi demoni. Iniziato dai Pellerossa, Blueberry scopre la realtà sovrannaturale, grazie alla sua guida spirituale, il fratello sciamano Runi, e grazie alla cultura indiana del peyote (il fungo allucinogeno), che lo porterà a viaggiare dentro la sua anima, alla ricerca del sapere e della propria libertà dai vincoli terreni. Nel cast del film, con musica di X Track ed effetti speciali di Rodolphe Chabrier, figurano anche Ernest Borgnine e Juliette Lewis. Per Cassel «tutto è cominciato quando uscì il film "Dobermann" e diedi da leggere a Jan i libri di Castaneda: da allora in poi, Jan s'interessò alla cultura degli sciamani. Tornò cambiato da un lungo viaggio in Amazzonia, era più fragile e più illuminato». Spiega l'attore francese: «Aveva conosciuto le piante sacre e mi diceva di seguirlo, ma all'inizio ero terrorizzato. Poi, lo seguii. Ho imparato a vedere la realtà in maniera molto diversa e Jan mi offrì il personaggio di Blueberry, che già conoscevo dal fumetto ma, con tutto il rispetto per Jean Giraud, non era l'adattameno del fumetto che trovavo interessante, quanto fare un western sciamanico. È stata una esperienza fantastica, tra il deserto e le foreste, nel Nord del Messico, a stretto contatto con gli sciamani. Il western americano non mi piace molto, preferisco quello italiano, ma non bisogna andare a vedere "Blueberry" con l'idea di godersi un western: si tratta, invece, di un film sensoriale e certe cose vanno percepite aldilà del genere». Vincent Cassel, che ha rifiutato il sequel di "Fiumi di Porpora" perché lo ritiene «troppo stupido», sta ora girando "Sheitan" - che in arabo significa Diavolo - diretto da un regista francese ventitreenne e, in proposito, ha difeso il cinema di genere francese: «In Francia, c'é da sempre la filosofia che chi fa film deve dire cose importanti. Invece, per fortuna, c'é tutta una generazione di registi che la pensa diversamente. Fin da piccolo sognavo di recitare come Pacino, De Niro o Volontè, mentre non credo di somigliare, come molti dicono, a Jean Paul Belmondo, che ha fatto nella sua carriera scelte stranissime. Però, era capace di lavorare in film d'autore, nonostante la sua prepotente fisicità: questo, forse, è ciò che più ci unisce». Il regista Kouen ha poi spiegato, ieri in conferenza stampa con Cassel, che ha voluto introdurre la dimensione sciamanica nel western «perché nel mondo in cui viviamo si tende a sostenere l'esistenza di una sola realtà: volevo combattere questa idea mostrando la realtà degli Indiani, nella cui cultura, al contrario di quella occidentale, domina la dimensione spirituale, invece di quella materiale».

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