Il cinema è la prostituta delle arti
..nella fossa comune, nella gigantesca fognatura... la letteratura, del resto, prepara il pubblico ad apprezzare tutta questa porcheria. La letteratura si mette al livello dei più avvilenti soggetti di cinematografo... Come piacere di più, come infangarsi di più, come aumentare ancora la dose di sentimentaleria... Lo spirito "bancario" insomma! Signori e Signore, il popolo vi manderà al diavolo, uno di questi giorni». Pur senza affondare nel disprezzo sulfureo di Celine (che segue quello romantico di Majakovskij e precede quello, gelido, di Sartre), bisogna ammettere che 60 anni dopo, quel giorno è venuto: il cinema è morto. Dopo una lunga e costosa agonia. Il popolo, cioè "la sala", lo ha mandato al diavolo. E non si prevedono risurrezioni. Anzi, ci si chiede perché non si sia staccata la spina un ventennio fa. Da noi, il testamento l'ha firmato il genio di Antonioni con il suo splendido e breve "Michelangelo". Il Cinema, questa composizione di "immagini in movimento", la figlia di un processo chimico e del meccanismo d'una macchina per cucire, che per oltre un secolo ha guadagnato milioni di miliardi, innalzato la mediocrità al ruolo di guida culturale, religiosa, politica... ha truccato da semidei della fotogenia nani e ballerine ben rappresentati dall'ottusa immagine dell'Oscar, è servito alla propaganda del fumo o delle lavatrici e dell'auto, quanto a quella di nazismo e comunismo, ha arricchito pigmalioni assatanati, ha violentato senza pudore la Letteratura, il Teatro, la Danza, la Musica, la Pittura, la Poesia, la Storia, i Sacri testi, sventrandoli, falsandoli, umiliandoli con l'happy end: è finalmente morto! Non s'era salvato nessuno: da Eschilo a Plauto, a Svetonio, a Machiavelli, a Dante, a Boccaccio, a Rostand, a Caravaggio, a Moliere, a Shakespeare (il più malmenato), a Freud, a Mozart, a Pirandello, a Puccini, a Dumas, a Hugo, ha Manzoni, a Collodi, a Marquez, a Sciascia, a Eduardo, a Moravia, alla Bibbia, a De Sade, ai Vangeli, al Talmud, da Conrad a Puzo, da Verne a Tolkien e giù, giù, fino agli eroi dei fumetti: il Cinema li ha spremuti e sfigurati tutti. Eppure, questa nuova magia dell'uomo avrebbe potuto dar vita davvero alla settima arte. Nel 1925 il genio di Dziga Vertov, rifiutando le presuntuose ricostruzioni di Ejzenstein, lo definiva «un passo sulla via della piena separazione del linguaggio del cinema da quello del teatro e della letteratura». Il suo capolavoro, L'uomo con la macchina da presa, fu invece schiacciato dal trionfo stalinista di quella patacca di Ottobre. E sarà sepolto e portato via col vento dalle centinaia di vite di Gesù, dalle migliaia di Romei e Giuliette (gli ultimi su Titanic) dai Napoleoni in tutte le salse, dagli Amleti perfino giapponesi, dalle inondazioni dell'eroe di Fleming, per non dire dei western («le storie sono sempre le stesse, cambiamo solo i cavalli», si vantava il produttore) e dei "comici"... Non che i ribelli non vi siano stati, Cocteau, Bunuel, Lang di Metropolis, Lèger di Le ballet mècanique, Antonioni, Rossellini di Germania anno zero, Fellini di Otto e mezzo, Flaherty, che abbandona le riprese di Ombre bianche perché il produttore gli impone un «intreccio amoroso» da inserire nel film, sono le eccezioni che seguono il messaggio di Vertov, ma che non hanno sollevato d'un millimetro l'aggressività del mercato. Accade così che il Teatro, per reagire al massacro dei testi, imiti il cinema inventando il «regista» (in sostituzione del tradizionale capocomico), il quale, a sua volta, per giustificare il ruolo, stravolge le trame e impone scenografie e costumi tanto costosi quanto inutili. La letteratura stessa assumerà sempre più spesso uno stile «cinematografico». Quando arriva la televisione ci si augura che finalmente il "racconto per immagini" subisca una svolta linguistica rivoluzionaria. E registi come Gregoretti fanno ben sperare. Ma per poco. Il potere è nella mani di vecchi marpioni tipo Maiano che si cloneranno e ci abbofferano di "Fratelli Karamazov" e "Prome