di ANTONELLO SARNO D'ESTATE ritornano.

Stiamo parlando di «Undead», film australiano dei fratelli Spierig, e della «Terra dei morti viventi» («Land of the dead») di George A. Romero, un signore che gli zombi, al cinema, ce li ha portati - anzi ri-portati - per mano fin dal 1968, anno del suo capolavoro «La notte dei morti viventi». Uscite estive, si diceva, perché l'horror, cioè un genere che per tutto l'anno ottiene buone performance, in estate massimizza il proprio rapporto costo-ricavi in quanto articolato soprattutto su film a medio-basso budget. E quindi ideali da gettare come attrazioni nell'infuocato deserto estivo delle sale, per procurare piacevoli brividi e rastrellare incassi senza l'incubo della concorrenza invernale. Simili come argomento, gli zombi sono sempre zombi, i due film non potrebbero tuttavia essere più diversi. Supertradizionale, anzi, persino vagamente crepuscolare quello di Romero (tendenza che si era già preannunciata con il suo ultimo film «Bruiser») ed invece folle, divertente, innovativo, fin troppo demenziale quello di Peter e Michael Spierig. Ad eccezione delle immagini che accompagnano i titoli di testa, in cui Romero racconta come si è arrivati allo sterminio degli umani da parte dei morti viventi cannibali, cinque minuti terribili, in bianco e nero, veramente da grande maestro, esteticamente «La terra dei morti viventi» non aggiunge né toglie granchè alla trilogia creata da Romero in materia di zombi. La differenza principale con «La notte dei morti viventi», con lo straordinario «Zombi» (co-sceneggiato da Dario Argento e musicato dai Goblin, un hit internazionale del 1978) e con quanto accadeva nel terzo capitolo della trilogia romeriana, «L'alba dei morti viventi», del 1985, sta da un'altra parte. Cioè, nel sociale. Se nei primi film i morti viventi (sulla cui origine nessun film dà mai una vera spiegazione scientifica…) aggredivano come un virus tra gli umani divorandoli e contagiandoli con il risultato di distruggere il genere umano (paura che di epoca in epoca è stata accostata a quella della Guerra Fredda, della droga, dell'Aids) in questo nuovo film gli esseri umani e gli zombi coesistono, ma in aree separate. Una sorta di apartheid fortificato separa la città dove vivono - più o meno come prima - gli umani, e la campagna, dove vagano gli zombi. I quali, vengono regolarmente sterminati dalle spedizioni che gli umani organizzano per approvvigionarsi. Fino a prendere coscienza della loro forza, verrebbe da dire dei loro «diritti», e ribellarsi al ruolo di vittime sacrificali cui sono stati relegati. Zombi-pride, insomma, una lettura che porta a leggere questo quarto capitolo dell'opera di Romero come una metafora della diversità, che si vendica della propria emarginazione contro il più forte. Quasi un «Soldato blu» pro-zombi, insomma, invece che a favore dei pellerossa. Totalmente diversa, quanto a contenuti, la folle pellicola dei videoclippari australiani, i fratelli Spierig, che si sentono evidentemente molto vicini al loro conterraneo Peter Jackson ed al suo esordio cinematografico «Bad Taste - Fuori di testa» (1987), in cui i cannibali erano zombi-alieni. Come nel proto-Jackson, anche gli Spierig adorano lo splatter (litri di sangue, teste che esplodono, arti segati…) e la provocazione del nonsense, che va spesso oltre il demenziale come nella scena in cui una carpa-zombi appena pescata addenta il naso del protagonista. Battute assurde, alieni col cappuccio che sembrano usciti dai film italiani di serie b, caratteri inverosimili fanno di «Undead» un appuntamento da non perdere per chi ama il genere senza alcuna complicazione socio-idelogica. Anche perché, come nel caso dei fratelli Wachowsky, gli autori di «Matrix», è probabile che anche dei fratelli Spierig sentiremo ben presto riparlare. A questo punto, però, la questione è un'altra. Che parentela c'è, se c'è, tra la nuova generazione degli zombi e quelle che l'hanno preceduta ? E, in particolare, per quale ra