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Il sabba dello Strega

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Sono questi gli undici romanzi e gli altrettanti autori da cui questa sera, nella storica casa di Maria Bellonci, fondatrice del premio Strega, verranno fuori i cinque finalisti che la notte del 7 luglio si contenderanno l'ambito riconoscimento, che non offre grandi cifre al vincitore, ma gli consente un mercato di vendita da record, almeno in un paese come il nostro, dove non si finisce mai di ripetere che si legge poco. È stato sempre così per questo storico riconoscimento che nel passato ha visto vincitori i protagonisti, quasi tutti, delle nostra letteratura novecentesca, a cominciare da Flajano, per arrivare a Tomasi di Lampedusa, a Moravia, a Cassola, la Bassani, e via giù con tanti esemplari della frenetica notte romana, al Ninfeo di Valle Giulia, dove la fronte del vincitore verrà coronata dall'alloro di quattrocento e più votanti, che sono poi i pezzi pregiati della vita pubblica, scrittori, registi, critici, artisti insomma nel senso più ampio e dilatato della parola. A voler giocare d'anticipo, e provare una cinquina in grado di parer credibile, almeno tre nomi di autori molto noti di questa stagione letteraria paiono scontati e destinati alla cinquina dalla quale sortirà il vincitore, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi e Maurizio Maggiani: il nostro giornale ha parlato ampiamente di tutti e tre, ma giova forse ritornare brevemente sulle trame di queste tre opere, sicuramente il miglior raccolto di un'annata non spregevole, caratterizzata in particolare da momenti evocativi di un passato irripetibile, e piuttosto scarsa per quanto riguarda l'immaginario e il fantastico: chissà, per via di tante navigazioni mediatiche che forse, e sottolineiamo forse per non subire danni, impediscono un libero volo all'irreale e al meraviglioso. Giuseppe Conte dunque, è al suo primo romanzo, lui poeta molto noto, che è andato a scegliersi un remoto fratello in poesia, Shelley, grande suggestione, non solo formale. Anche Maurizio Cucchi, altro poeta alla sua prima avventura nella giungla della prosa, con Il male è nelle cose ha inteso compiere a suo modo un viaggio itinerante che per confine, e traguardo al contempo, la tragedia più dolorosa e traumatica del nostro tempo, il Male, purtroppo mitizzato in negativo in tutte le sue prismatiche componenti, e nel caso specifico summa di una deriva da parte del giovane protagonista che comincia a compiere gesti e azioni ai margini dell'assurdo, in modo incontrollabile. In questo caso la visionarietà si contrappone al reale e naviga verso l'inconsapevolezza e la trasgressione, nel caso di Maurizio Maggiani, cui pare vadano i favori del pronostico per la vittoria finale, Il viaggiatore notturno è un etologo che nel deserto petroso dell'Hoggar insegue e persegue la memoria stravolta di un Eden, una sorta di paradiso impossibile dove la navigazione è ardua e irta di agguati angosciosi, il prezzo questo da pagare per la conquista di un paradiso di cui gli uomini hanno smarrito la dimensione. Restano dunque due piazzamenti liberi e possibili, in questo gioco a scacchi che abbiamo tentato alla vigilia, e che può venir smentito in un baleno, per una incollatura per dirla con il vocabolario ippico. Edoardo Nesi, per esempio, con L'età dell'oro, un romanzo situato nel futuro, nel 2010, quando l'ondata lunga del miracolo italiano sembra un ricordo da conservare e basta, ha buone probabilità di entrare in cinquina, anche perché il suo romanzo, in bilico fra il lirico e il comico, possiede doti di godibilità che più di un votante può apprezzare. E non è da trascurare la chance di Valeria Parrella, il cui romanzo Per grazia ricevuta presenta la Napoli di oggi, finalmente, d

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