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La città accolse con stupore l'arrivo di quei musicisti che venivano paragonati a barboni Ma il pubblico andò in delirio

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All'Adriano erano attesi i Beatles per due spettacoli: 16,30 e 21,30. Noi under 16 beneficiavamo di un maxi scontro grazie al coupon di un settimanale di musica, ma la situazione non si presentava per niente tranquilla. Cosa ci facevamo quei seicento uomini mobilitati davanti al teatro fra carabinieri, agenti di Ps, vigili del fuoco, Croce rossa e dozzine di camionette di pronto intervento? Alcuni di noi erano già stati ad altri spettacoli - nessuno si sarebbe azzardato a chiamarli concerti - per esempio quelli di alcuni artisti di rock and roll transitati in Italia, ma nessuno aveva visto un simile spiegamento di forze. Semplicemente le "autorità" si erano informate, avevano saputo di piccoli incidenti, qualche spintone, ma più che altro urla, per la prima volta liberatorie e musicali. Ecco l'introduzione di due elementi nuovi: il concerto-evento, tanto evento da sconfinare nel sociale e la partecipazione del pubblico, non più passivo come era stato fino a quel momento. In particolare l'entusiasmo psico-motorio, le urla e il cantare le canzoni in coro fino a sovrastare il volume proveniente dallo stesso palco. Caratteristiche ben presenti ancora oggi, ma che di fatto sfinirono i Beatles al punto da portarli all'abbandono dei concerti. L'esibizione pomeridiana fu caratterizzata soprattutto dalle urla, quella serale - a cui molti di noi ebbero modo di assistere con il più classico dei trucchi, cioè mimetizzandosi in platea - decisamente meglio, addirittura con la sparuta presenza di qualche vip, fra cui Ursula Andress e Marcello Mastroianni, che lo fece solo per accompagnare sua figlia, scoprendo poi che Mc Cartney e Lennon erano dei suoi fans. Il giorno successivo furono aggiunti altri due spettacoli non previsti, anche se l'afflusso di pubblico in entrambe le giornate non raggiunse mai il pienone, anzi, si sbigliettò fino all'ultimo. Il quotidiano "Paese Sera" sottolineò che il cinema non aveva l'aria condizionata e commentò: "Chiunque riesca a riempire per metà un cinema nel mezzo del pomeriggio. Con una temperatura di 37 gradi, si può ritenere ben soddisfatto". Roma celebrava il più importante fenomeno musicale e sociale del decennio (e non solo) ma pochi, soprattutto fra gli addetti ai lavori, sembravano accorgersene. Fino al 1965 i dischi dei Beatles si ascoltavano molto poco alla radio, eccezion fatta per gli spazi pubblicitari che la loro casa discografica occupava. "Bandiera Gialla", la prima trasmissione radiofonica interamente dedicata ai gusti dei giovani, sarebbe partita soltanto nell'ottobre di quello stesso anno e del resto la stessa hit parade aveva ospitato soltanto tre o quattro brani del celebre gruppo. I Beatles dunque, anche se a nessuno sarebbe venuto in mente di lanciarsi in ipotesi dietrologiche, dimostravano che i migliori artisti popolari creano legami immediati tra persone che possono non avere nulla in comune se non un semplice responso alla loro produzione. Se il pubblico richiede solo un po' di più di ciò che ha già comunque ricevuto, l'artista ha di fronte una scelta. Può andare avanti, e magari staccarsi dal suo pubblico; se lo fa, il suo lavoro perderà tutta la vitalità e la forza che aveva quando sapeva che era importante per altre persone. Oppure l'artista può accettare l'immagine che il pubblico ha creato di se stesso, facendo finta che il suo pubblico sia un ideale indistinto, e perdere se stesso in mezzo al suo pubblico. Allora sarà capace solo di confermare, ma non sarà più capace di creare. Peppino Di Capri, che unitamente ai New Dada e ad altri artisti, presentati da Lucio Flauto e Rossella Como, fece da supporter ai Beatles, capì per primo l'importanza del gruppo come medium: «Quello che colpì tutti, me e i miei musicisti, fu la potenza del suono, l'elettrificazione dei loro strumenti: roba mai sentita. Ci mise a terra tutti». La serata fu registrata dalla Emi Italia e l'album "Live in Italy", pubblicato quello stesso anno, includeva, fra l'alt

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