In «Thaïs» spicca il balletto con Carla Fracci
Non ci si spiegherebbe altrimenti perché traiamo fremitante piacere piú dall'acre consapevolezza della trasgressione che dall'oggetto stesso della trasgressione: ci gusta il peccare in sé, più del peccato. Fenomeno peraltro ribadito dal dramma lirico «Thaïs» (1894) di Jules Massenet (quello di «Manon» e di «Werther»), ora sulle scene dell'Opera di Roma. «Thaïs», ovvero, come lungo tre atti avvenga che nel molle Egitto del IV° secolo (p.Ch.n.) una gran cocotte, sacerdotessa di Venere, sia persuasa a farsi monaca di clausura da un monaco cenobita, Atanaël, il quale, al di lei contatto, di lei s'ingrifa assaissimo, sì che da asceta si farà infoiato perso: giusto l'adagio «tanto va la micia al lardo che ci lascia lo zampino». Il Nostro incontra la malafemmena ad un party. Tête-à-tête: lui osanna alle rinunzie terrene; la danzatrice-bagascia erige lí per lí un'apología del libero pòmicio: del godío prêt à porter. Vince lui, sicché la puttanella, purgata e pentita, sarà menata in un convento, non prima d'aver appiccato foco alla casa delle ingorde voluttà ed all'arredo d'erotici gingilli. La folla, alla notizia che la libera amatrice si diparte, monta in tremedissima collera: si sente orfana: al pari dell'asceta, che pure lui si sente orfano: orfano di menadistici risucchî. Credeva di purificare madame, ed invece madame l'ha non solo sedotto e dislombato, ma anche divertito (ossia fuorviato) ed abbandonato. Quando lei rende l'anima al cielo in profumo di santità, lui si rotola per terra, in preda a laici spasmi che non si sa quando gli si srotoleranno. Su modesto libretto di Louis Gallet, tratto dall'ironico romanzo d'Anatole France, la musica si snoda setosa e meringata, quale l'imagineresti meglio da Chez-Maxim's che nei primi secoli del Cristianesimo. Occhèi le pagine liriche, d'un Liberty di virginale creanza, mentre quelle orgiastiche paiono andar a faciolo alle Dame di San Vincenzo - mettiamo - in una notte di stremate loro perversioni mozzarellistiche. Lodevole l'allestimento dello spettacolo nel «tempio» quirite, con una direzione musicale lineare e corretta di Pascal Rophé, la regìa e le scene oggi un po' fanées di Samaritani (riprese da Renzo Giacchieri), le eleganti coreografie di Wayne Eagling forti d'un'angelicata Carla Fracci e della vispa Gaia Straccamore. Nel canto si distinguono Patrice Berger (il monaco incauto), Claudio Di Segni (misurato Nicia) e la signora Amarilli Nizza (lei, la magna meretrix redenta). Urbani applausi.