I «ciccioni» di Botero scoprono l'impegno
Ce lo dimostrano, per contrasto, i fiumi di parole eccessive che stanno scorrendo a commento dell'ultimo ciclo di opere di un pittore dalla vasta popolarità come Fernando Botero, presentato nell'imponente mostra che è stata inaugurata ieri a Roma, nella sede di Palazzo Venezia e che documenta con 170 fra quadri, disegni e sculture gli ultimi quindici anni del percorso creativo dell'artista. Si tratta di oltre cinquanta fra dipinti e disegni realizzati in questi ultimi due anni dal noto artista colombiano, che denuncia le disumane torture inflitte agli iracheni dai soldati americani nel carcere di Abu Ghraib. Sono opere drammatiche in cui Botero rinuncia, sull'onda di una profonda indignazione morale, alla consueta ironia e piacevolezza che da molti anni caratterizzano i suoi dipinti popolati da simpatiche figure corpulente e sovrappeso. «Sono rimasto molto colpito - ci racconta lo stesso Botero - dal fatto che un comportamento così barbaro, fondato sull'uso della tortura, sia stato attuato dagli Stati Uniti, il paese più ricco e potente del mondo, quello che dovrebbe dare a tutti un alto esempio morale. Mi sono ispirato alle foto e agli articoli del "New Yorker" per raccontare orrori che non devono essere dimenticati. Del resto nessuno si sarebbe ricordato della tragedia di Guernica senza il capolavoro di Picasso». Ecco, allora , prigionieri pestati a sangue, azzannati dai cani, sodomizzati, umiliati nella loro dignità di esseri umani e di musulmani. Senza dubbio vanno ammirati il coraggio e l'impegno morale della denuncia di Botero. Ma non bisogna esagerare con paragoni azzardati e fuori luogo. L'artista colombiano è un pittore un po' troppo sopravvalutato e talvolta fin troppo accademico e superficiale. Come si fa a paragonarlo all'inquieto genio di Picasso o a quello di Goya? In uno dei due cataloghi che accompagnano la mostra si legge infatti che di fronte alle opere di Botero «il pensiero corre alla disperazione di Guernica di Picasso o agli orrori dei disastri della guerra di Goya, a quella scrittura artistica che sa raccontare e accusare più di tante parole o di tanti pamphlet». Come ci insegna tutta la storia dell'arte anche quando si denunciano i più crudeli crimini contro l'umanità quel che conta non è tanto il soggetto scelto ma la potenza della forma dipinta o scolpita, la sua capacità di comunicare il senso di una tragedia attraverso lo stesso sconvolgimento di canoni stilistici precostituiti. Goya e Picasso ce lo dimostrano ai più alti livelli, l'uno anticipando l'espressionismo e l'altro superando per efficacia comunicativa gli stessi fotoreportage del massacro di Guernica. Purtroppo altrettanto non si può dire per Botero, che ci dona immagini degne più di un ottimo illustratore che di un artista immortale. Il pittore colombiano talvolta eccede nel voler applicare le sue forme corpulente a tutti i temi più importanti della storia sacra e profana. Dà fastidio, ad esempio, perché gratuita e fine a se stessa la rappresentazione del Cristo crocifisso come uomo grasso, con tutto il rispetto per l'obesità. Il resto dell'esposizione ci propone il Botero più noto, quello dei simpatici ciccioni che vivono in un mondo "bulimico" e pur pieno di grazia, fatto di rotondità e di morbida accoglienza. Del resto, come ci dice l'artista colombiano, «per prima cosa l'arte deve dare piacere e nobilitare l'uomo». Ecco, Botero è certamente più votato ad una domestica sensualità che non a una denuncia apocalittica.