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71 Paesi in mostra manca solo l'Italia

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E pensare che la prestigiosa istituzione lagunare fino a poco tempo fa ci era invidiata in tutto il mondo. Ora invece, si può ben dire che anche l'Esposizione d'Arte di Venezia esprime la crisi economica e morale del nostro Paese, incapace di dare voce forte alla propria identità e di affermarsi a tutti i livelli nel sempre più competitivo sistema economico e culturale internazionale. Per la prima volta nella storia della Biennale sono stati nominati due curatori e così il Presidente dell'istituzione, il banchiere Davide Croff, per proporre l'en plein in fatto di novità ha chiamato a dirigerla due donne, le critiche spagnole Maria de Corral, già Direttrice del Centro Reina Sofia di Madrid e Rosa Martinez, già curatrice della Biennale di Barcellona e di quella di Istanbul. Niente da dire, per carità, sul curriculum delle due spagnole, a cui però sono stati concessi solo pochi mesi per organizzare quella che dovrebbe essere la più prestigiosa esposizione d'arte contemporanea del mondo. Ognuna delle due presenterà una mostra. La de Corral curerà «L'esperienza dell'arte» nelle 34 sale del Padiglione Italia dei Giardini di Castello, con 42 artisti che dovranno dare immagine all'evoluzione dell'arte dagli anni Settanta ad oggi, in quello che si propone di essere - per usare le parole della curatrice - «un centro di sperimentazione più che un cumulo di certezze». Fra i nomi selezionati figurano quelli di Francis Bacon, Marlene Dumas, Dan Graham, Philip Guston, William Kentridge, Agnes Martin, Bruce Nauman e Antoni Tapies. Rosa Martinez si occuperà di predire le vie future dell'arte con la rassegna «Sempre un po' più lontano», il cui titolo è ispirato ad un libro di Corto Maltese, personaggio di avventura creato dallo scrittore e disegnatore veneziano Hugo Pratt. Quarantanove artisti occuperanno con mega-installazioni i 9000 metri quadrati delle Corderie e delle Artiglierie dell'Arsenale. Fra loro spiccano i nomi di Olafur Eliasson, il cui ambiente col «Sole artificiale» ha fatto epoca alla Tate Modern di Londra, e poi Louise Bourgeois e Mariko Mori. Alla Biennale di quest'anno parteciperanno ben 71 Paesi, in quella che è la più ampia presenza nella storia dell'istituzione veneziana. Oltre ai padiglioni nei Giardini di Castello le loro mostre invaderanno gioiosamente tutto il centro storico di Venezia. Si sa già che il Leone d'oro alla carriera verrà attribuito all'artista americana, femminista e concettuale, Barbara Kruger, che presenterà un gigantesco «tatuaggio murale» sulla facciata del Padiglione Italia ai Giardini. A proposito, del nostro Paese in pratica non rimane altro che il nome del padiglione principale. Grazie ad una decisione presa dal curatore di due edizioni or sono, Harald Szeemann, recentemente scomparso, il Padiglione italiano come sede espositiva dei nostri artisti è stato abolito. Naturalmente i Presidenti della Biennale, prima Franco Bernabè ed ora Davide Croff, si sono ben guardati dal ripristinarlo, nonostante le innumerevoli proteste di tutto il mondo artistico italiano. E così a rappresentarci saranno soltanto quattro giovani artisti, abbastanza noti a livello internazionale, tre dei quali hanno accumulato già diverse Biennali, essendo ben accetti nel tirannico sistema dell'arte: Monica Bonvicini, Francesco Vezzoli e Bruna Esposito. La quarta è Micol Assael. Tutti gli altri è come se non esistessero. E teniamo pure conto del fatto che sarebbe stato quanto meno opportuno dedicare un omaggio a tre grandi artisti italiani che sono scomparsi in questi ultimi nove mesi: Antonio Corpora, Piero Dorazio e Mario Merz. Anche su di loro nessun cenno. Ormai il nostro provincialismo culturale è talmente forte da averci portato all'autocancellazione e al masochismo più ridicolo. Se non sappiamo farci rispettare in Italia figuriamo

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