Alberto Bevilacqua parla in anteprima della raccolta di poesie «Tu che mi ascolti»
Dire di conoscere un essere così poliedrico è oltremodo supponente e ambizioso. Posso dire, comunque, di averlo letto e ascoltato in questi dodici anni di frequentazione e di aver qualche volta intuito la sua anima curiosa e sempre all'erta, pronta a ricevere i segnali "cosmici" di un'umanità sperduta tra i vicoli di un mondo senza uscita. Il suo peregrinare attraverso gli orrori e i misteri, da cronista di cronaca nera a inviato di guerra, a viaggiatore nell'esoterico, lo ha sempre ricondotto a casa, nel "grembo materno" della madre che è, come lo stesso Bevilacqua scrisse a soli tredici anni, quel "ventre umiliato e offeso per morirci teneramente come ci sono nato". Ed è proprio alla madre che dedica nel '95 "Lettera alla madre sulla felicità", e "Tu che mi ascolti", il suo ultimo romanzo edito Mondadori, che è anche il titolo della raccolta di poesie di prossima uscita per Einaudi Editore. In che modo il romanzo e la raccolta di poesie dallo stesso titolo "Tu che mi ascolti", si completano e si distanziano? «Il romanzo è la narrazione scritta subito dopo la morte di mia madre. Io avevo due strade: quella di voltarmi indietro, come fanno tutti, oppure buttarmi nel cratere del trauma, cioè di approfittare di uno stato di transfert puro, per scrivere questo racconto che oserei definire magico, in quanto scritto in realtà a quattro mani con mia madre. La narrazione che affronta "in corpo", nel suo concetto "cristiano", sia della vita insieme, sia del post mortem. La raccolta di poesie che ha lo stesso titolo, è un libro che "data" da molto tempo perché raccoglie tutte le poesie dedicate a mia madre da sempre. Un libro "sotto il corpo" che interpreta le emozioni più profonde che hanno dato origine alla narrazione. Riconciliare poesia e narrazione all'ombra di uno stesso titolo è un tentativo nuovo di integrazione tra due mezzi, apparentemente diversi, su un medesimo tema e su uno stesso personaggio. Si scava, si va sul fondo. Quella che è la rappresentazione della madre, della vita e di tutto i suoi derivati, ottiene il suo compimento». Un compendio indispensabile per il suo lettore abituale? «Se il lettore ha avuto delle emozioni dalla lettura del romanzo, troverà nelle poesie le emozioni che probabilmente io ho provato. Le troverà espresse. C'è un "legame di sangue", per citare il titolo di un mio precedente libro di poesie, che preparava profeticamente il fondo di quello che poi è accaduto. C'è il cerchio che si chiude». L'amore nei confronti di sua madre ha condizionato in qualche modo il suo rapporto con le donne? «Il rapporto con mia madre che è quello descritto dai miei libri, era di una purezza assoluta. Io e mia madre siamo stati per anni soli, io e lei, affrontando una vita durissima. Io ero sempre con lei, tranne che nei momenti in cui non potevo averla vicina. Anni agghiaccianti. Accadde questo: lei covava già la sua malattia, la depressione, e io non potevo parlare con lei di nulla perché non le era permesso di subire qualsivoglia emozione in arrivo dal mondo esterno che le avrebbe provocato uno stato di terrore profondo. La nostra conversazione si limitava a "Come stai?" e "Bene, grazie". Mia madre era una donna bellissima, una gitana, una tanghera eccezionale, ma non è mai stata un oggetto di confronto con le donne che ho conosciuto. Siamo stati due complici, ma non due complici di complicazioni psichiche!». "Lettere alla madre sulla felicità" nasce da un momento difficile della sua vita in cui lei fu "perseguitato" per aver fatto luce su "moventi" e "mandanti" nelle indagini sul mostro di Firenze. Come è potuto succedere che qualcuno l'abbia addirittura denunciato quale presunto "mostro"? «Avevo scritto per Panorama di vari casi delittuosi, anche perché, giornalisticamente, vengo dalla cronaca nera de Il Messaggero, ed essendo io uno dai riflessi sensitivi rapidi, il direttore mi chiese di andare sul luogo per trovare degli indizi. Capii immediatamente che non poteva trattarsi di un serial killer per una serie di el