di WALTER MAURO PER la prima volta nella sua vita di scrittrice, Isabel Allende scrive e pubblica un ...
Nata a Lima nel 1942, Isabel è vissuta in Cile fino al 1973 lavorando come giornalista, ma dopo il golpe di Pinochet se ne andò in Venezuela e poi negli Stati Uniti, da dove ha cominciato a mandare segnali di grande scrittrice, «La casa degli spiriti» (1982), «Eva Luna» (1988), «Il piano infinito» (1992), «Paula» (1995), il testo suo più risolto, di una limpidezza dolorosa e riflessa, fino al più recente «Ritratto di seppia» (2001) seguito nel 2003 da «Il mio paese inventato», marcatamente autobiografico. Ma veniamo alle ragioni di questo testo — nel quale, va detto subito, la Allende conferma appieno la sua classe di narratrice di grande qualità — e ricordiamo che a settembre negli Usa esce il «Zorro 2», sequel del film interpretato da Antonio Banderas e Catherina Zeta-Jones che saranno ancora della partita, e improvvisamente ci si è accorti che nessun autore della grande letteratura si era mai occupato di questo leggendario personaggio. La scelta è caduta su Isabel che non si è lasciata pregare a lungo, ed ecco in libreria, da oggi, nella versione italiana di Elena Liverani edita da Feltrinelli, il racconto di questa vita incredibile e fascinosa, della quale la Allende è andata a cogliere i risvolti meno noti, costruendo così un identikit del personaggio che molti ignoravano, attratti com'erano sempre dall'arditezza delle sue imprese. La scrittrice procede per ripiani narrativi debitamente disposti sulla scacchiera biografica: ecco allora il figlio del latifondista spagnolo Alejandro de la Vega e di Toypurnia, una donna india che prima di seguire il marito si era battuta a lungo per i diritti del suo popolo, iniziare il suo percorso di vocazione a difesa del senso dell'onore prima di tutto (caratteristica che gli proveniva da una condizione esistenziale di natura della sua gente), e subito dopo, diretta conseguenza, a difesa dei miseri e degli oppressi. La sua infanzia è piena di strordinarie avventure, assieme al fedelissimo Bernardo, figlio della balia che aveva allattato entrambi. Viene mandato a studiare in Spagna, all'inizio della giovinezza, assieme a Bernardo. In quegli anni, la terra iberica era dominata dal Bonaparte, e cresciuti all'ombra dell'insegnamento illuminista di Tomàs de Romeu, Diego e Bernardo vengono edotti sulle condizioni del vivere quotidiano dei servi della gleba del tempo, ma nello stesso tempo prendono lezioni di scherma da Manuel Escalante, il quale però, oltre che spadaccino, è anche un membro autorevole del gruppo politico La Justicia, cui rapidamente il giovane va ad affiliarsi assumendo il nome di Zorro, che significa in spagnolo volpe, senza più abbandonarlo fino alla fine della vita e delle sue imprese. Diceva il grande poeta Rafael Alberti che la spada si accoppia al garofano, ed ecco scattare il sentimento d'amore dell'eroe incontaminato per Juliana, la quale respinge le sue attenzioni, e in virtù di una divertente par condicio, rifiuta anche le avances di Rafael Moncada, acerrimo nemico di Zorro. Inutile dire che gli amori di Zorro-Diego sono animati sempre da una struggente carnalità: «Non posso fornire ulteriori dettagli sulla relazione fra Diego e Amalia — dice la Allende ricordando un'altra delle donne di Zorro — L'amore carnale è un aspetto della leggenda che Zorro non mi ha autorizzato a divulgare, non tanto per paura di essere deriso o smentito, ma per quel minimo di galanteria. Posso solo dire che, all'epoca in cui Diego si rotolava con Amalia, il suo cuore era completamente nelle mani di Juliana». Pace e bene. Ma torniamo alle battaglie sul campo: Napoleone viene sconfitto in Spagna, Tomàs de Romeu viene arrestato e Diego, con Juliana e Isabel, debbono fuggire attraverso un oceano infuriato che rende il viaggio ancora più avventuroso. È davvero il punto cruciale della scrittura della Allende, la descrizion