di ANTONELLO SARNO CON IL RECENTE annuncio dell'inizio delle riprese di un nuovo film ispirato ...
Anzi, se si pensa che i primi due incassi dell'anno in corso sono proprio due film a episodi come «Christmas in love», che il box office dà intorno ai 19-20 milioni di euro, e «Manuale d'amore», a quota 14, gli indizi diventano addirittura prove. Prove fondate. Al punto che persino il nuovo film di Natale «www.Miami.Click», quello con l'accoppiata Boldi-De Sica recentemente riconfermatasi più unita che mai (almeno dai contratti), dovrebbe ricalcare la struttura di «Christmas in love». Dunque, prove inconfutabili. Di che cosa? Ma della rinascita, ed in grande stile, del film a episodi, monarca degli incassi della commedia all'italiana tra gli anni '60 ed i primi '70, ma sepolto nei decenni successivi non solo dalla mancanza di nuova linfa vitale nella generazione degli sceneggiatori quanto piuttosto dal fuoco di fila aperto dalla critica su ogni tentativo di resuscitare il genere, magari arricchendolo di nuove idee, facce, contenuti. Una pregiudiziale quantomeno insolita, in un paese in cui ogni cittadina vanta ormai il suo festival di «corti», cioè brevi film che - se presi singolarmente - vengono oggi incoraggiati ed osannati. E da quella stessa critica che, per decenni, se assisteva ad un film a episodi metteva mano alla fondina. Come se un film a episodi impoverisse di per sé, invece di esaltarlo, il talento di un regista di raccontare storie, ricche di contenuti e significati oggi come ieri, quando in film del genere si cimentarono, e con enorme successo maestri come Dino Risi (uno per tutti, «I mostri», ma anche «Le bambole», «I complessi», «Vedo nudo») o Vittorio De Sica («Ieri, oggi e domani») e Nanny Loy(«Made in Italy»). Tre nomi che valgono per un'intera generazione di registi di nome che, grazie anche ad un team d sceneggiatori da urlo come Flaiano, Age, Scarpelli, Scola, Maccari, Benvenuti e De Bernardi, per citare soltanto «i soliti noti», conquistarono ampie fasce di pubblico al gusto di storie piccole, tese a creare nello spazio di un solo film, un affresco più colorato, deciso e netto di quanto - a volte - era consentito dal respiro di un unico film. Un teorema abbracciato non solo da registi commerciali, tra i quali per esempio era considerato - non senza una punta di sprezzo, il che varrebbe di per sé a scomunicare tutta la nostra critica degli anni '60 e '70, se non ci avesse già pensato da sola con un'infinità di altri errori - lo stesso Risi, ma anche da nomi intellettualmente più altolocati (e rispettati) come Rossellini (che aveva inaugurato il genere nel cinema italiano con «Paisà», del '46), Pasolini e persino lo snobbissimo ideologo della nouvelle vague Jean-Luc Godard. I quali, nel 1963, firmarono insieme ad Ugo Gregoretti RoGoPaG, quattro episodi indicati nel titolo dall'acronimo composto dalle iniziali degli autori. Mentre un gruppo formato nientemeno che da Visconti, De Sica, di nuovo Pasolini, Bolognini e Franco Rossi lavorò ai 5 episodi de «Le streghe», nel 1967, per sfruttare al meglio il peso che aveva nello star-system italiano una diva all'apice del suo splendore e successo come Silvana Mangano, unica protagonista di tutte le storie. Per tacer di Federico Fellini, che con Monicelli, De Sica e Visconti (malgrado la rivalità che li separò per molti anni) diresse uno degli episodi di «Boccaccia 70», anche se oggi, a 43 anni di distanza quel film sembra firmato solo dal regista di «Amarcord» in forza del geniale episodio «Le tentazioni del dottor Antonio», con Peppino de Filippo e Anitona Ekberg che, da un cartellone pubblicitario, invita i passanti a… bere più latte. E Antonioni? Non era forse a episodi (tre, per l'esattezza) il suo film d'esordio, quel «I vinti» che nel 1952 lo impose come astro nascente del nostro cinem