Ragazzi di ieri nel disincanto di oggi
Nell'intreccio di privato e collettivo il tema di fondo è sempre la speranzaC'è l'«hippy» romano che marina la scuola e va in giro per le strade del centro La giovane madre durante il colera del '73. Il contadino tra le illusion
Non a caso, insomma, le sillogi che riguardano spaccati molto rapidi e significativi di un quadro generale, prendono il sopravvento nei confronti di trame e intrecci che si prolungano nel tempo fino ad assumere dimensioni che coinvolgono lunghi percorsi storici, interminabili trafile generazionali. Va perciò sottolineato il caso di Fabrizia Ramondino, di cui esce ora una silloge di racconti, intitolata Arcangelo, e interamente concentrata sulle radici di una ribellione fittizia e ambigua che ha non poco contribuito a determinare l'attuale disagio a fronte dell'indifferenza che serpeggia pesante all'interno della comunità umana. Talvolta, l'analisi calata nelle singole storie, nella solitudine di personaggi che non hanno la pretesa di ergersi ad arbitri di convinte, e un po' labili, determinazioni, indica una condizione generale e incide su una possibile, pur se prematura, definizione, molto più di quanto non riesca a fare un lungo serpentone romanzesco. Tutto questo per dire, prima di tutto, che Arcangelo della Ramondino, più che presentarsi come una raccolta di racconti che espongano singole situazioni distaccate l'una dall'altra, al contrario instaura un filo conduttore che via via finisce per dipanarsi e offrire, si diceva, un quadro, un affresco si potrebbe dire, di un passato recente nel quale non è poi così difficile trovare radici dell'instabilità, della provvisorietà, del nostro tempo. Accostiamoci allora più concretamente a questi personaggi/chiave dell'Italia di questi ultimi anni, tralasciando quel primo dopoguerra, così carico di speranze, anticipatrici di scottanti delusioni, e invece rintracciamo le anticipazioni del disincanto presente: il boom economico con il suo pesante fardello di delusioni, la contestazione giovanile, la battaglia per i diritti civili: tutti eventi che avevano forse bisogno di una tragica conferma, e facilmente la ottennero nel corso di due traumatici appuntamenti: il colera di Napoli del 1973 e le devastazioni provocate dal terremoto del 1980. Sono metafore ma non troppo, che servono a focalizzare una condizione, anzi le molteplici situazioni umane che la Ramondino va descrivendo una pagina dopo l'altra, nell'intreccio fitto di vicende private e collettive, inscindibili le une dalle altre perché le lacerazioni del singolo individuo sono contaminanti e sviluppano il disagio a catena, a sua volta responsabile della dissipazione e dell'equivoco. Proprio tale condizione è alla base di esemplarità in cui da uno stato di ribellione che pare eccessiva o retorica, si fa presto a individuare un forte potenziale di fiducia in se stessi che tutto finisce per nobilitare. Prendiamo come esempio il primo racconto della silloge, intitolato Girovago, e tutto concentrato su uno dei primi «hippy» romani che marina la scuola e se ne va in giro per via Condotti con una latta appesa a uno spago che chiama «Rifofò», e a chi gli chiede ragione di quella stravaganza risponde con gli occhi socchiusi: «Bisogna rifondare il mondo, rifare tutto, «rifofare». Leggeva Rimbaud e Montale, ma era una chiave di lettura tutta sua e un pò stravolta. Anche Susan è una hippy fuori tempo massimo e storico, è tenace in quel suo testardo richiamarsi ad una breve e irripetibile stagione, che la espone a considerazioni sprezzanti, e perfino ovvie, presso i cosiddetti benpensanti. Pasquale ha vissuto illusioni più concrete e verificabili, le lotte contadine, i partiti di sinistra, e va curandosi pazientemente ferite e lacerazioni che tardano a rimarginarsi. Se ci si sposta all'epicentro napoletano, dal quale la Ramondino proviene, e cui ha