di STEFANO MANNUCCI «AVETE passato i trent'anni, pensate di smetterla con sesso, droga, e rock'n'roll?».
Perché la band di Manchester è praticamente condannata a vivere senza mai abbandonare il classico cliché delle popstar. Un girotondo all'inferno, con qualche distinguo. Perché i due fratelli Gallagher, Noel e Liam, si dividono da sempre i ruoli del "quasi saggio" e del "praticamente perduto". Il primo, giorni fa ha dichiarato pubblicamente che «gli stupefacenti sono semplicemente merda. Ma puoi arrivare a questa conclusione solo dopo anni che ti sei rovinato la vita. Non posso condannare chi fa uso di droghe - ha ammesso il chitarrista - perché sarei un ipocrita, visto che tutti noi nel gruppo ne abbiamo abusato pesantemente». Tanto che nel 1997, quando forniva la sua consulenza artistica allo staff di Tony Blair, avvicinò il primo ministro a una festa elettorale a Downing Street e gli spiattellò sul muso un «Hey, premier, come hai fatto a restare in piedi tutta la notte?». Blair gli rispose: «Di certo non ho usato le sostanze che piacciono a te!». Il fratellino Liam, invece, insiste nella sua vocazione un po' maudit di chi non può fare a meno del suo astuccio d'argento zeppo di coca. Con l'alcool non va meglio: se gli amici gli fanno notare che la birra gli gonfia la pancia, lui ripiega sulla vodka. Il suo tempestoso matrimonio con la cantante-attrice Patsy Kensit finì perché lei - sottolineava Gallagher 2 - «si credeva Liz Taylor, e se le chiedevo di seguirmi al pub lei arricciava il naso con una smorfia d'orrore». Mentre la fidanzata in carica, Nicole Appleton (del gruppo delle All Saints) non si fa troppi problemi per una tirata o una pinta in compagnia. Da sempre accusati di bullismo, come i Mod degli anni Sessanta, cattivi maestri per i loro fans, idoli degli hooligans delle grigie periferie britanniche, gli Oasis non sono comunque riusciti a premere il bottone dell'autodistruzione. Perché il loro nuovo cd, «Don't believe the truth» (in uscita in Italia il 27 maggio), è forse davvero uno dei loro migliori. Non è - o almeno non sembra - l'opera stralunata di una gang di ubriachi, né la pubblica allucinazione di un branco di drogati. Qui lo stile sembra affilato, tagliente, preciso, come una lama rifilata dall'arrotino. Niente digressioni verso la Terra del Nulla, ogni canzone vive il tempo che deve, e basta. Certo, come sempre ad ogni disco dei fratelli Gallagher, anche qui sembra di ascoltare un breve compendio della storia del rock, un catalogo di pezzi che suonano già come dei classici, e che potrebbero essere stati scritti con il bignamino aperto sotto il banco. Le vecchie influenze dichiarate - i Beatles, i Rolling Stones, gli Who - restano tutte. Ma se ne aggiungono di nuove: i fantasmi dei Velvet Underground fanno sberleffi dai solchi di "Mucky fingers", mentre la psichedelia dei vecchi cari Kinks si affaccia in "The importance of being idle", e il ritmo al vetriolo di "The meaning of soul" è una sintesi punk-hard, qualcosa a metà fra i Black Sabbath e gli Stranglers. Grandiosi - e ortodossi - i progetti rock di "Turn up the sun" o "Keep the dream alive", accattivanti le ballate come "Love like a bomb" o la conclusiva "Let there be love". Un album scritto non più solo da Noel Gallagher o da Liam, ma anche da Gem Archer o Andy Bell. E alla batteria c'è Zak Starkey, il figlio di Ringo Starr, tanto per saldare il conto con la Storia. In «Don't believe the truth» il fattore più inquietante è proprio quello del titolo, con gli Oasis determinati a calarsi nel gioco di specchi dello show-business, in cui è peccato mortale credere alle "verità rivelate" della tv o dei tabloid scandalistici. Per il resto, sembra davvero il disco del riscatto, quello con cui il gruppo si affranca dall'etichetta di "grande promessa fallita degli anni Novanta", di quella generazione di gruppi rock rimasta a metà del guado, incerta se ricalcare gli spartiti dei fratelli maggiori degli anni Sessanta, o cercare un'improbabile zona vergine della creatività. In attesa di esibirsi all'Heineken Jammin'Festival di Imola, il 12 giugno (erano già stati lì nel 2000, ma allora