La verità della Chiesa contro le menzogne del «Codice da Vinci»
La sua capacità di attrarre è scritta negli oltre 25 milioni di copie vendute nel mondo in 45 lingue. Se si vuole capire le ragioni del successo bisogna guardare però, più che ai numeri, alla forma di scrittura che il suo autore, Dan Brown, ha scelto. Ci si trova davanti alla sceneggiatura di un thriller, nella cui evoluzione intenzionalmente mozzafiato si inseriscono con un intenso e freddo montaggio verità assolute e dimensioni di vita attuale, tutte percepibili, anche se non sperimentate, dal lettore. Per capire l'efficienza del cocktail predisposto dal "Codice", occorre rifarsi ad una regola base della lettura. Non vi è nulla di più attraente per un lettore che veder elaborare in immagini la crisi dei potenti, scoprire le pieghe segrete dell'autorità e del dominio materiale e spirituale. L'attendibilità dei contenuti che vengono proposti in forma di racconto passa in secondo ordine. I dati e le interpretazioni acquisiscono significato solo alla fine, quando il lettore vede emergere dietro la finzione una parabola che segnala la verità storica. Questo è il "travisamento" che, per i critici del "Codice", è stato indotto nel giudizio culturale di molti lettori. La diffusione del romanzo ovviamente è il risultato anche di un'offerta martellante, basata sull'impiego di tecniche di persuasione commerciale. A ciò si aggiunge l'entusiasmo e il passaparola dei lettori. Fin dal 2003 il "Codice" ha suscitato sconcerto e indignazione fra gli esperti di cose religiose e nei lettori credenti. Possibile, si sono chiesti, che milioni di persone si facessero prendere per il naso, accettando di leggere dentro un "giallo" parigino, accuse d'infamia per una grande istituzione come la Chiesa Cattolica Romana, che continuerebbe a mentire ancora oggi sulle proprie origini e quindi sulla propria missione? Da subito sono cominciate le contestazioni scritte, che di recente hanno perso la strada di volumi di sintesi sugli "errori" presenti nel libro di Brown. Analitici e convincenti risultano libri come quello del giornalista spagnolo Josè Antonio Ullate Fabo ("Contro il Codice da Vinci - Le mistificazioni di Dan Brown e la verità cattolica"), sostenuto nelle sue argomentazioni dai teologi dell'Opus Dei e quello dell'americano Darrel Bock ("Codice da Vinci - Verità e menzogne") sponsorizzato dal Cardinale Bertone in prima persona. La necessità di una risposta più forte è venuta dall'evidenza dell'impatto non più occasionale di un libro il cui contenuto tecnicamente va definito "blasfemo", poiché riduce il Vangelo ad una prevaricazione maschilista sul mancato regno di una Dea dall'imprecisa identità. All'inizio gli addetti ai lavori, teologi e storici, hanno forse pensato: ecco il solito polpettone paraesoterico. Hanno anche previsto che avrebbe fatto la stessa fine di tanti libri dedicati a temi misteriosofici. Così accadde alla più nota fra le ricostruzioni femministe dell'origine del cristianesimo, in cui Richard Harris nel 1988 arrivava alla conclusione che Cristo stesso era una donna, mentre Maddalena era una sua immagine di copertura. Il libro, immensamente più documentato del "Codice", ma non scritto come un poliziesco, vendette poche migliaia di copie. Il giudizio iniziale dei critici cristiani era però ingenuo. Non teneva conto del martellante lavorìo di "demitizzazione" della figura di Cristo che è in corso da sempre, ma che nella società dell'informazione imbocca la strada della predicazione pop e folk. Forse non si era meditato abbastanza, ad esempio, sul successo di "Jesus Christ Superstar", dove con delicatezza e con l'appoggio del trasporto musicale, era già sviluppata la tematica dell'umanità gentile ed erotica del Cristo, nonché l'uso dello specchio splendido, ma sensuale della Maddalena. Già da quella esperienza, si poteva ben comprendere che, nella società postmoderna ricca di informazioni ma a pensiero debole, sono il ritmo e i toni della narrazione che finiscono per risultare più incisivi del contenuto sostanziale del messa