Il rapporto tra papà e figlia senza sentimentalismi

UN ESPERIMENTO da segnalare. Vittorio Moroni, arrivato a questo suo primo lungometraggio dopo anni di attività nei corti e nei documentari, non trovando accesso a una vera distribuzione, ha fatto ricorso ad una sua cooperativa non a caso intitolata «Myself» («faccio da me»), per provvedere a quanto serve per far arrivare un film al pubblico. E c'è riuscito. In modo meritorio. La storia, che oltre a rappresentarla si è anche scritta, verte tutta sul sentimento di paternità. Carlo, infatti, tassista a Sondrio, ha adottato una bambina abbandonata dalla madre appena nata ed è a tutti gli effetti diventato il padre conducendola sempre con sé, anche quando era in fasce, sul suo taxi, trasformato quasi in una casa per entrambi. Un giorno, però, la vera madre, che la bambina crede morta e che intanto si è trasferita in Portogallo, torna all'improvviso. Carlo affronta la situazione con fermezza e la fa ripartire, tacendo tutto alla ragazza che sa e vede legata a lui proprio come una figlia. Non è l'anagrafe a dettare certi sentimenti. Sono i rapporti, è la vita. Una situazione insolita. L'esordiente Moroni l'ha risolta con gli accenti giusti, puntando molto su quel rapporto padre-figlia che pur con incrinature, finisce per imporsi: in modo asciutto, senza sbavature sentimentali. Lo sostengono Ignazio Oliva, con vario cinema alle spalle, e la nuova arrivata Valentina Merizzi, un visetto intenso, che si imporrà. G. L. R.