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Il fumetto giapponese diventa vendetta sanguinosa

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UN FUMETTO giapponese. Portato al cinema da un regista coreano, Park Chan-wook, molto apprezzato e premiato ai festival. Il tema è la vendetta. Si affanna a compierla tale Dae-su, sposato, con prole, che si è visto sequestrare quindici anni di seguito senza motivo apparente, con la sola compagnia di un televisore cui ha dovuto di apprendere che sua moglie era stata uccisa e che la polizia lo riteneva responsabile di quella morte. Liberato, anche in questo caso senza nessuna spiegazione, finiva per risalire al suo sequestratore, scopriva, nel loro reciproco passato, le ragioni del suo odio e si faceva trascinare in una terribile contesa destinata a concludersi con la morte e dell'uno e dell'altro. Era lui a sopravvivere, dopo essersi però tagliata la lingua con una forbice (la sua colpa era di aver parlato troppo...) e trovava anche l'amore: in una donna che gli era sempre rimasta vicina. Un fumetto, appunto, con l'aria di voler rivisitare in cifre asiatiche le vicende del conte di Montecristo. Il regista coreano, però, lo ha quasi del tutto trasfigurato con i suoi modi di rappresentazione. Certo, la violenza efferata abbonda (oltre alla lingua tagliata, ci sono dei denti strappati con una tenaglia e sangue a fiotti), ma, pur senza addolcirla si è ingegnato ad ogni svolta, ad evocarvi attorno un mondo che è quasi soltanto un gioco visionario dalle forti suggestioni. Ritmi furiosi, colori fra la realtà e il sogno, immagini ora sghembe, ora distorte, ora attraversate da segni in cui il quotidiano perde tutti i suoi contorni. Forse con eccessivi colpi nello stomaco. Che però sono cinema. G. L. R.

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