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Risa mortali nel '500

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FLORESTANO Vancini, molto attivo di recente in televisione, ritorna al cinema. Vent'anni dopo la sua fortunata opera prima, «La lunga notte del '43» ambientata nella natia Ferrara. Oggi, anche se l'ha ricostruita a Belgrado, è di nuovo a Ferrara, in quel Cinquecento in cui la dominavano gli Estensi e i quattro figli di Ercole I, morto il padre, si dilaniavano fra loro, con odi e congiure, pur coltivando le arti. In mezzo a loro, difatti, s'incontrano l'Ariosto e Tiziano. Si incontra però anche un loro buffone che prima li serve, poi partecipa a una congiura, poi, prosciolto, finisce per trovare la morte in seguito a uno scherzo («e ridendo l'uccise»). Le sue vicissitudini permettono a Vancini, e al suo co-sceneggiatore Massimo Felisatti, di alternare al ritratto di un'epoca e delle figure storiche che vi campeggiavano anche quello della povera gente che subiva soprusi e violenze d'ogni sorta da parte del potere. Con accenti, in questo caso, di un realismo quotidiano espresso con immagini asciutte (la fotografia è di Maurizio Calvesi). Naturalmente c'è anche lo spettacolo, fatto scaturire dalle trame di una corte in cui il sesso, il tradimento e l'odio tra fratelli sempre in lotta per sostituirsi l'uno all'altro vengono portati spesso in primo piano con tecniche sapienti. La musica, infatti, è di Ennio Morricone, le scenografie sono di Giantito Burchiellaro, i costumi sono di Lia Morandini. Al servizio di un'impresa che alterna con impegno la cronaca alla Storia riuscendo a impedire che si nuocciano fra loro. Lo stesso impegno negli interpreti. Il buffone protagonista è Manlio Dovì, in arrivo dal teatro e Tv. Fra gli altri, Ruben Rigillo e Sabrina Colle. Con piglio fermo.

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