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Compie 80 anni il decano dei critici letterari, figlio dell'ex presidente Dc «Riprenderò a scrivere. Un diario. Su mio padre e mio fratello Piero»

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Anche se d'opere letterarie pochi si interessano, a cominciare dagli editori. Ma prima di andarmene, se ci riuscirò, vorrei scrivere. Un diario. Sulla mia famiglia. A cominciare da mio padre, Attilio, che stava per diventare presidente del Consiglio quando scoppiò il caso Montesi, e da mio fratello Piero. E poi racconterò le mie esperienze private». Leone Piccioni, decano della critica letteraria italiana, compie 80 anni il 9 maggio. E lascia cadere il discorso su questo ritorno alla scrittura, inseguendo con gli occhi la memoria e l'oggi, mentre il sole del pomeriggio invade dalla terrazza il soggiorno della sua casa romana. Altro che storia privata. Il diario di Piccioni squadernerà cinquant'anni di storia italiana, cinquant'anni segnati dalla ricostruzione, dal miracolo economico, dalla nascita della tv, dal predominio politico della Balena Bianca. Figlio del presidente della Dc, fratello dell'autore di memorabili colonne sonore scomparso la scorsa estate, Leone Piccioni è finissimo scrittore. Ha insegnato letteratura all'università, ha vissuto gli anni d'oro della Rai. Al giornale radio, ai telegiornali è stato direttore. Poi la scalata a Viale Mazzini lo ha portato sulla poltrona di vice direttore generale. Politica e cultura, ma anche mondanità: intrecciati nelle serate dei premi letterari e di quelli cinematografici. Ischia del Premio Rizzoli, Venezia del Campiello, e il Ninfeo di Villa Giulia, il «Viareggio», il «Basilicata». Diresse «L'approdo», prima rivista culturale e dopo indimenticabile trasmissione tv. Il suo era il piccolo schermo di «Studio Uno» e del Sanremo più luccicante, del varietà e dei teleromanzi d'antan. Lui stesso è tra gli intellettuali d'antan, col vizio (ovvero la virtù) di scrivere più che di apparire. Professor Piccioni, le piace l'industria letteraria di oggi, la pubblicazione a raffica di libri, la superfetazione di premi? «Per niente. Si stampa troppo e libri troppo lunghi, replicando quel che avviene negli Usa. Un libro bello se è lungo è un capolavoro, ma se è inutile si smette di leggerlo. Di Gadda, di Pea, di Pavese, di Morante, di Bilenchi non ce ne sono più, l'ideologia ha riempito la testa degli autori oggi cinquantenni». Allora vogliamo dire che è una letteratura che trae linfa dai casi letterari, l'ultimo quello di Alessandro Piperno di «Con le peggiori intenzioni»?. «Un libro noioso, quello di Piperno, che si finisce a fatica. Piuttosto io amo Del Giudice, che però stampa poco, Maggiani, la Capriolo, la Morazzoni, Rosetta Loy. E la Mazzantini di "Catino di zinco" e di "Non ti muovere". Personaggio singolare, Margaret. Brava attrice teatrale e di cinema, ha lasciato le scene per dedicarsi ai figli. E per scrivere». E poi c'è il rito dei premi letterari. «Troppi anche questi. Così tutto si abbassa di livello. Con esempi poco edificanti, causati dagli editori più che dagli scrittori. Prenda il Premio Strega: non si capisce perché il nome del vincitore si conosca addirittura a fine aprile, prima che siano depositati i libri concorrenti». Ungaretti è stato il suo maestro e principale oggetto dei suoi saggi. Com'era con lei? «A Firenze ebbi come guida De Robertis. Poi Roma, e Ungaretti. Un altro padre, ma con una confidenza totale, che col padre vero non avrei potuto avere. Era estroso, spiritoso. Si arrabbiava terribilmente. Però un vulcano che dopo l'eruzione si placava. E sostituiva alla rabbia fragorose risate e irresistibili battute. Successe così anche quando s'infuriò per il Nobel che andava a un altro italiano». Le piace la tv del Duemila? «La vedo poco. Vive di squilibri. Come lo fanno ora il varietà è una delle palle di piombo più ingombranti. Sbagliate pure certe fiction. Poi episodici grandi spettacoli. Fiorello, Morandi e Celentano, Dalla con la Ferilli, o "Cime tempestose" per le fiction. Degli attori amo la Buy, la Koll, Francesca Neri, Castellitto. Ma certe vette non posso che rimpiangerle, perché anche col varietà si faceva cultura. Soprattutto, veniva fuori i

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