Per Mozart un postribolo a Pompei
Vale a dire che questo capolavoro mozartiano (KV. 588) giuoca nella storia dell'arte un ruolo simile a quello del Partenone nella Grecia attica, della Gioconda nella Rinascenza, di «Au revours» nell'età della Décadence, del «Pulcinella» stravinskijano nella sfera del neoclassicismo novecentesco; e cosí via. Ciò premesso non già per far sfoggio ignobile di risapute cose ma per rilevare l'estrema delicatezza che debbono usare e la grave responsabilità che si assumono quanti intendono recare in vita di suono, e di scena, un monumento dell'arte (e dunque della cultura) dell'Occidente, osserveremo che «Cosí fan tutte» è un «dramma giocoso». L'osserviamo perché al Teatro Nazionale di Roma, dipendenza del Teatro dell'Opera, l'opus magnum del compositore salisburghese è stato invece interpretato dal maestro Gianluigi Gelmetti, direttore musicale e regista all'uopo, come un'evidentissima «opera buffa». Sicché dal travisamento è di necessità disceso il «tradimento» dei contenuti poetici. Nessuno ignora che cosa fanno le donne e gli uomini nel «Cosí», e non solo lí. Cercano il piacere (vale a dire la vita) non ostanti gl'intollerabili gravami delle norme morali da cui sono oppressi: di cui sono schiavi. Gli è che gli esseri umani sarebbero quanto di piú naturale si possa concepire se, anziché gioiosamente «essere», non fossero costretti ad «apparire» altro da sé. Alla fine, sovente e per fortuna, la legge biologica (quella che ingenera bebè) ha la meglio sulla legge psicologica (quella che ingenera affranti sospiri e languorami: e peticelli ai piú traccheggianti tra i giovini). «Cosí fan tutte» è «giocoso» per le mille tranelleríe che mettono in atto le donne al fine d'impossessarsi del sollazzo, ma è altresí «dramma» perché tal possesso comporta esercizio di cinismo, riduzione d'una morale insostenibile a vile compromesso, infingimenti puttanelleschi, quali Mozart denunzia a chiare note nella sublimità dell'algida partitura: che va conformandosi a poco a poco a orto di melanconíe. È questo il mondo dell'Illuminismo razionalistico settecentesco (o, se mai, per riflesso, dei sofisti greci) che l'inopinata nonchalance del Gelmetti ha traslocato tout-court nell'epicurea Pompei dell'Impero romano: perlappunto volgendo il tutto ad opera buffa. Ove non c'hanno scandalizzato punto, figurarsi, amplessi lesbo e vasilli omo effusi in ritempranti casini, né fremitanti passerelle da operetta in coppa ai nostri cranî di platea; ma c'hanno fastidiato assai quei suoni discinti e quei canti risolti spesso in rimandi al can-can, in esuberi smoderati: in basso spasso. «Cosí» si gusta in ristorante. Stavolta, s'è gustato in trattoria. Modeste le scene latino-campane di Maurizio Varano, coerenti i costumi della signora Anna Biagiotti. Meritevoli d'incoraggiamento le voci delle signore Taliento e Polverelli e dei signori Grigolo e Gagliardo. Il signor Bruno Praticò, in ragione degl'indossati panni del maître-à-penser culatton, seguíto da un par di gaî femminielli, ha magari compromesso il talento proprio, e al di lui fianco anche la signora Cherici, magari orba di gagliarda spalla. Si giudichi infine dignitosa la performance dell'Orchestra e del Coro da camera dell'Opera. Al folto pubblico capitolino la cosa cosí com'è andata non è dispiaciuta. Che dire? A differenza del giudizio estetico, intorno ai gusti, per natura irrazionali e assolutamente soggettivi, non s'ha da discettare: ché non si potrebbe verificarne la rispondenza al vero, secondo rimarcavano, unanimi, gli speculatori razionalisti del Seicento (da Cartesio a Leibniz, da Spinoza a Pascal, etc....) a tacere di Kant colla fortunata «Kritik der Urteilskraft» (Critica del giudizio»), nel secolo appresso.