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Dopo il «Monnezza», Banfi, Abatantuono e Vitali pronti a rifare i loro cavalli di battaglia

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Che, per vent'anni, fu considerato da stampa e intellettuali un attore di serie B soltanto perché faceva film comici (quelli sì, spesso, di serie B) mentre critici e giornalisti cinematografici non avevano occhi che per il cinema cosiddetto «serio», di cui si scriveva (e si scrive) con venerazione e sussiego. Una paura strisciante, eppure visibilissima, che porta i critici di oggi, figli o nipoti di quelli che ostracizzarono il principe De Curtis (e molti altri) a precipitarsi nelle rivalutazioni di tutto o quasi il nostro cinema del passato. Che contiene, come sempre succede, anche un sacco di schifezze. Trash vero, non da rivalutare ma, semmai, da dimenticare. L'intelligente - e discretamente riuscita - operazione dei fratelli Vanzina di recuperare il personaggio del Monnezza nel loro nuovo film, che veleggia ormai verso i tre milioni di euro, e che forse raggiungerà anche i cinque, è la riprova che il trash va rivisitato con attenzione, gusto e, soprattutto, ironia. Con buona pace di Tomas Milian, il Monnezza originale, che protesta di non essere stato chiamato neppure per un «cameo» accanto al protagonista Claudio Amendola (come se fosse meglio rivederlo oggi, Milian, calvo e quasi obeso com'è, piuttosto che ricordarlo attraverso le innumerevoli immagini d'epoca di cui il film dei Vanzina è letteralmente disseminato...). Gusto e ironia, si diceva. Già, perché le notizie che arrivano circa il ritorno di altri personaggi che una trentina d'anni fa furono i portabandiera della cultura trash - che all'epoca non si chiamava così per il semplice fatto che era appena cominciata la rivalutazione di Totò - rischiano di destare qualche preoccupazione. Il primo è stato Lino Banfi, che pare deciso a ridestare il suo Oronzo Canà, protagonista de «L'allenatore nel pallone» (1984), seguito da Diego Abatantuono, intenzionato a tornare nei panni del terrunciello protagonista di «Eccezziunale veramente» (1982) fino ad Alvaro Vitali. Che, forte di un breve omaggio in una sala della Cinématheque Francaise, ha annunciato di voler trasformare il suo terribile Pierino dei primi anni '80 in un serial tv, in cui l'ex discolo fa il prete di periferia. Titolo «Don Pierino». Fin qui, bene o male, tutto lecito. Anche il trash ha i suoi capofila, ed è naturale che si approfitti del momento di entusiasmo generale, e della clemenza critica da parte degli addetti ai lavori, per rigettare nella mischia ruoli e personaggi che ebbero grande successo commerciale. Già, ma poi? Qualcuno ha presente quant'erano brutti, poveri, spesso mal fotografati, peggio sceneggiati e recitati, girati in maniera frettolosa, ripetitivi, stanchi, stupidi i film degli anni Settanta che oggi si vendono (benino) in dvd nelle edicole? Ma andavano bene anche quando li programmava Retequattro, il sabato in seconda serata, cinque-sei anni fa. E nessuno si sognava di parlare di fenomeni culturali. Renzo Montagnani, grande attore dalle mille sfaccettature, per giustificarsi di essere diventato un eroe del filone soft-erotico, chiamava quei film «le mie caciotte». Un po' perché erano rozzi, un po' perché erano «film-alimentari», nel senso che gli davano da mangiare (la definizione è d'alto lignaggio, proviene da Vittorio De Sica, che di brutti film - come attore - ne ha girati tanti). Questo non per censurare nessuno, per carità, ma solo per sottolineare che non basta meritare i galloni di «Stracult» per essere un bel film. Spesso è il contrario. Perché allora, negli anni Settanta, il cinema vendeva ancora più di mezzo miliardo di biglietti all'anno, che oggi sono ridotti a meno di cento milioni. Ed accanto all'inevitabile «W la foca» o chi per esso, c'era magari una sala con «Profondo Rosso», una con «Il Casanova» di Fellini ed una terza con «L'innocente» o «La terrazza» di Scola. Oggi no. E il pericolo che ci sia soltanto una sala dove si possa vedere «W la foca 2», o che magari il pubblico - quell'unica volta che va al cinema - scelga di vedersi solo quel film perché n

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