I rischi della proposta Frattini che vuole cancellare tutto ciò che ricorda il nazismo
Senza simboli non c'è la Storia
Si tratta dell'istanza volta a vietare qualunque uso, in Europa, di simboli in qualche modo collegati con l'ideologia nazista o con i suoi simili, i suoi derivati, i suoi complici. A dir la verità Frattini, dopo essersi affrettato a lanciare una proposta presentata come intransigente, dà l'impressione di non riuscire poi ad articolarla. Nell'intervista rilasciata a Vincenzo Nigro su «La Repubblica» del 25 gennaio scorso dà la netta impressione di annaspare, di non essersi granché preparato e di non saper che pesci prendere. La svastica e gli altri simboli nazisti (quali?) dovrebbero a quanto pare venir vietati sotto qualunque forma, e con rigore, in quanto simboli di un "totalitarismo", ma soprattutto come segni distintivi del razzismo. «Non si tratta di colpire le idee - fa dire Nigro a Frattini - ma i fatti e le manifestazioni». E che cosa vuol dire? È la reminiscenza d'un brandello di ragionamento liberale classico, che cioè «tutte le idee sono rispettabili?». Evidentemente no: il razzismo non lo è in alcuna forma (non solo quando è antisemita). E allora? Noi crediamo che si tratti proprio di colpire le idee: il che significa appunto colpirne in pratica «i fatti e le manifestazioni». Come altro si potrebbe fare? E, tra quelle manifestazioni, i simboli sono le più immediate ed efficaci. Che le svastiche debbano sparire non solo dalla simbolica politica di gruppi e gruppuscoli, ma anche dagli stadi e dalle megliette, siamo tutti d'accordo. Ma ciò includerà anche la caccia alle espressioni storiche di essi? Per la svastica e i simboli propriamente nazisti, intendiamoci, siamo già quasi a posto. I nazisti non ebbero poi gran tempo per costruirne espressioni monumentali, e la maggior parte di essi furono cancellati dagli eventi bellici e nell'immediato dopoguerra. Ma qualche osservatore va oltre: chiama in causa anche i simboli fascisti in Italia e quelli di altri paesi: ad esempio quelli d'origine falangista che il regime di Francisco Franco - che in realtà con quel che restava del movimento falangista aveva chiuso nel 1945 - continuò formalmente a lungo ad usare. Altri, evidentemente contrariati dal vento abolizionista che sta tirando oppure inclini al cerchiobottismo, obiettano che, se si deve dar la caccia ai simboli totalitari, allora bisogna avviare la cancellazione anche di falci e martello, stelle rosse e compagnia bolscevica. Confesso a questo punto il mio divertito disorientamento. Ho sempre saputo che l'abuso del "politically correct" conduce regolarmente a risultati grotteschi: ma bisognerebbe evitar di esagerare. Si ha in altri termini l'impressione che una ventata di purismo liberaldemocratico voglia liberarci di tutte le memorie in qualche modo ad esso estranee oppure ostili. Vogliamo dar la caccia ai simboli totalitari? Accomodiamoci pure: però, di grazia, "adelante sì, ma con juicio". Il fascismo, nonostante i suoi capi proclamassero il contrario, non fu propriamente un regime totalitario; né tanto meno lo fu il franchismo. Regime autoritario duro se vogliamo, dittatura in un primo momento anche spietata, senza dubbio: ma totalitarismo, no. Quanto ai simboli comunisti, attenzione. Falce e martello e stella rossa sono, come il sole nascente, il libro aperto e i covoni di spighe, vecchi emblemi del movimento operaio, che vantano una storia anche gloriosa di lotte sindacali e di aspirazione alla giustizia sociale. Al pari dei berretti frigi e dei compassi massonici, possono anche restar antipatici: ma, se la storia ha un senso e la sua memoria va rispettata, parlano il linguaggio dell'utopia e dell'illusione, ma anche quello del lavoro, della sofferenza, dell'aspirazione alla giustizia e alla libertà. Un po' di rispetto non guasterebbe. È invece alla si