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A Quasimodo che nel '59 aveva vinto il Nobel i colleghi contrapponevano Montale e Ungaretti

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Così scriveva Salvatore Quasimodo, in forma di epigramma alla Marziale, lanciando strali ad Ungaretti che in Campidoglio aveva ricevuto il Premio Penne d'oca. Questa ed altre "perle" di vendetta, alcune mai pubblicate, sono uscite per Nicolodi Editore (a cura di Giovanna Musolino, disegni di Mario Cei). Il poeta siciliano ne in dirizzò a personaggi del mondo letterario, da Emilio Cecchi a Oriana Fallaci. Più o meno intorno al 1959, anno in cui Quasimodo aveva vinto il Nobel ma si sentiva oggetto di invidia da parte altri letterati. Per molti infatti il riconoscimento dell'Accademia di Svezia sarebbe dovuto andare a Montale o a Ungaretti. Oggi, l'ultimo libro di Muriel Spark, ottuagenaria scozzese trasferitasi in Toscana da quarant'anni, si intitola proprio «Invidia» (Adelphi). Caustica e con sense of humor, ha raccontato questo sentimento che si annida nella società letteraria inglese: «È il vero vizio degli scrittori - dichiarò lo scorso autunno - alla mia età ho imparato a riconoscerla. Nei giornali, nella società letteraria e nell'accademia. Una furia che ti cattura e può condurti alla follia». Anche l'ultima fatica di Domenico Starnone, «Labilità» (Feltrinelli), ha tra gli ingredienti l'invidia, quella che il protagonista, uno scrittore (da anni non pubblica un romanzo ma scrive per giornali e tv, tiene conferenze per mantenersi) prova per un giovane aspirante collega. Oggi dunque, l'invidia tra scrittori c'è e non si vede, oppure? «Sono lontani i tempi delle sfuriate tra "grandi", alla Quasimodo - Ungaretti - osserva Walter Mauro - che poi però si riappacificarono a Taormina». Testimone di un'epoca di grandi cronache letterarie Mauro ricorda di quando, negli anni Settanta, autore alla radio con Pietro Cimatti del programma in diretta «Libri stasera», dopo lunghe trattative riuscì a mettere allo stesso tavolo Moravia e Bassani. Meglio la solidarietà, come racconta Dacia Maraini, in libreria con «Colomba» (Rizzoli): «In genere sono in buoni rapporti con gli altri autori, li presento ai premi. Se c'è qualche forma di invidia nel mondo letterario è silenziosa e comunque non predominante. Ciò che mi dispiace è che negli anni '60 '70 ci si incontrava la sera a Piazza del Popolo: al Bar Rosati si trovava la Ortese, la Morante, Moravia e Pasolini. Ci si conosceva e si scambiavano esperienze. Oggi ci si vede vedersi ai convegni». La Maraini, con grazia e sapienza dà la sua soluzione: «A volte, il dente avvelenato qualche scrittore ce l'ha, ma dipende dalle esperienze negative della sua vita che finiscono sul campo letterario. Ma io credo che uno scrittore che "brilla" aiuti anche gli altri: pensiamo a Umberto Eco, maltrattato, contestato, ma ha aperto la strada presso i lettori. Bisogna ringraziare chi ha successo». Ma per una scrittrice che risponde, rispondono no-grazie, vietato invidiare. E poi non è argomento facile, anzi un po' sgradevole. Ma domandare è lecito. «La Spark non mi è piaciuta - osserva Alberto Bevilacqua in libreria col romanzo «Tu che mi ascolti» - ha trattato l'invidia in superficie. Io subisco l'invidia di un letterato di cui non dirò il nome… chi vivrà vedrà. Mi perseguita, ha tentato persino di togliermi il lavoro. Non me ne difendo, anzi sono felice dei suoi insuccessi, è un miserabile». Ma l'approccio all'invidia è dei più diversi, c'è anche chi la prova, quasi in forma soave: «Ho fatto parte di ambienti diversi - dice Giorgio Faletti, contento del successo dei suoi due thriller - provo invidia solo per la bravura e per il talento, ad esempio Dan Brown e il suo Codice Da Vinci. Ma la provo in senso normale, sano, umano! Nei miei confronti sì, forse qualcuno la prova, ma è un problema suo». Infine: avete mai provato a chiedere dell'invidia a un signore che è ingegnere-scrittore-attore-regista? «L'invidia esiste tra tutti! - racconta tra il serio e il faceto Luciano De Crescenzo - Del resto il primo dovere per uno scrittore è quello di morire affinché gli po

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