Mo Yan? Diventò scrittore per sfamarsi
«Da bambino seppi che un romanziere poteva rimpinzarsi di ravioli. Così scelsi il mio futuro»
Ed è pure lo pseudonimo del più importante scrittore cinese di oggi, che riceverà sabato prossimo nelle Distillerie di Percoto, a Udine, il Premio Internazionale Nonino. Tanto gentile il suo aspetto, quando drammatico, lancinante, il mondo che racconta. C'è la sconvolgente guerra contro il Giappone e la Cina del passato, dipinta dall'angolo visuale del paese di Mo Yan, Gaomi, nella campagna del Nord. Terre poverissime, coi ragazzini mandati a fare i pastori, il padre e la madre fuori tutto il giorno, a lavorare. La fame, il freddo, un mondo contadino fatto solo di durezza. Il bambino che sarebbe divenuto lo scrittore Mo Yan (sette romanzi, tra i quali quel «Sorgo Rosso», portato sul grande schermo da Zhang Yimou, il regista di «Lanterne rosse») era un chiacchierone. «Mia madre mi diceva: ma non puoi far finta di essere muto? - ricorda ora - Così, quando ho cominciato a scrivere, ho scelto lo pseudonimo di Mo Yan». Squarcia sulla sua infanzia a Gaomi. «Quando ero piccolo la Cina era molto povera. Il pensiero costante di tutti era riempirsi la pancia: si toglieva la corteccia agli alberi per mangiarla, ci mettevamo in bocca, e pareva un gioco, pezzetti di carbone. Un vicino di casa, un intellettuale, mi raccontò di aver conosciuto uno scrittore che mangiava ravioli tre volte al giorno. I ravioli, sapete, erano il pranzo della festa, leccornia di una volta sola all'anno. Se mi metto a scrivere, pensai, potrò anch'io mangiare ravioli tre volte al giorno. Così rafforzai la mia vocazione. Trovai un vecchio dizionario. Imparai da lì a scrivere». Oggi che la Cina è colosso economico, l'imprenditoria privata esporta e vince sui mercati d'Occidente, le sacche di povertà permangono. Come nei Paesi del blocco sovietico, è venuto a cadere il sostegno dello Stato ai cittadini nei più basilari diritti, come quello allo studio. Le famiglie delle province più lontane lavorano talvolta solo per mandare i figli a istruirsi. Mo Yan, il poverissimo Mo Yan della Cina non ancora occidentalizzata (è nato nel 1955), la scappatoia la trovò diventando militare. «Nell'esercito di Liberazione c'era un'università artistica. L'esercito prevede la figura degli scrittori-militari». Dunque, la letteratura, quei sette romanzi (tra i quali oltre a «Sorgo Rosso», «Grande seno fianchi larghi», e i racconti di «L'uomo che allevava i gatti», tutti pubblicati da Einaudi), la fama internazionale. La Cina lo ha premiato con l'alloro più prestigioso, il China's Annual Writer's Award. Ma non è sfuggito, Mo Yan, alle maglie della censura. È successo proprio con «Grande seno, fianchi larghi» e non solo per certe pagine di fortissimo erotismo, funzionale comunque all'afflato epico della sua narrativa. «Ho scritto cose che hanno suscitato discussioni. Il mio libro ha venduto moltissimo, mi ha fatto guadagnare. Per questo ha suscitato la gelosia di altri scrittori, che lo hanno denunciato. Ma il fatto che sia stato censurato lo ha reso più interessante. Sono girate copie clandestine. Perché, sapete?, vietare un libro è una grandissima promozione».