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I contemporanei strizzano l'occhio alla Pop Art degli Usae mettono alla berlina il vecchio regime comunista

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Tutto ciò ha anche una ripercussione di carattere geopolitico: oggi è molto utile ad un paese che vuole essere accettato nel consesso delle democrazie liberiste far vedere a tutti la sua apertura culturale con una Biennale d'arte di rilievo internazionale e soprattutto con la dimostrazione di poter contare nel mondo dell'arte sperimentale, quello dei grandi musei all'avanguardia. Ciò spiega perché la straordinaria avanzata della Cina da un punto di vista economico, politico e sociale si stia accompagnando ad una massiccia invasione ed esportazione artistica. Inoltre milioni di artisti non devono più subire, come era accaduto in passato, rigide prescrizioni dogmatiche su un'arte realista e anti-borghese. Ora la Cina ha parecchi musei dedicati all'arte contemporanea, può vantare la prestigiosa Biennale di Shanghai e molti ricchi collezionisti. Insomma, il Drago cinese aspira a diventare anche una superpotenza artistica oltre che economica. E parliamo di una nazione immensa che è già la sesta potenza economica mondiale e il cui prodotto interno lordo cresce al ritmo di un vertiginoso 7% annuo. Quando, nel 1999, il critico Harald Szeemann portò alla Biennale di Venezia un'ampia rappresentanza di artisti cinesi molti parlarono di inutile stravaganza e di gusto dell'esotico. Oggi possiamo invece dire che fu un'iniziativa preveggente. Da allora anche in Italia, oltre che in Germania e negli Stati Uniti ad esempio, fioriscono le mostre che presentano con impostazioni diverse l'arte cinese contemporanea. Ed ora una Fondazione bancaria, la Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, ha addirittura acquisito un nucleo di quadri di grandi dimensioni di artisti cinesi e li ha raccolti in un lussuoso volume, curato da Lorenzo Sassoli de Bianchi, che costituisce la più completa pubblicazione finora dedicata alla pittura cinese contemporanea (Damiani editore). Lo stesso Fabio Roversi Monaco, Presidente della Fondazione, sostiene che la scelta dell'istituto da lui guidato, oltre che su ragioni culturali, si basa anche sulla speranza di un investimento proficuo. Però c'è ancora qualcosa che manca per poter dire che la Cina è già una superpotenza artistica. E' l'esperienza e la consapevolezza di non dover subire passivamente le connotazioni stilistiche occidentali, soprattutto nelle diverse varianti della Pop Art americana. E non è cosa facile, se solo si pensa alla massiccia penetrazione in Cina di tutti i modelli consumistici statunitensi. Può sembrare paradossale, ma è indubbio che gli artisti cinesi più originali sono quelli che hanno scelto di andare a vivere e lavorare in Occidente, perchè hanno pagato subito e velocemente il loro dazio occidentale e poi hanno invece recuperato una dimensione della memoria che li ha portati a riscoprire con forza le loro tradizioni originarie. In questo senso, internazionale ma anche molto cinese è stato ad esempio un artista come Chen Zen, vissuto e scomparso a Parigi. Il volume curato da Sassoli de Bianchi è interamente dedicato alla nuova pittura cinese contemporanea. Di fronte alle opere presentate si resta colpiti da una diffusa sapienza tecnica che risale ai durissimi insegnamenti impartiti nelle Accademie cinesi, da colori vivaci fino ai limiti del kitsch e da un vitale desiderio di sdrammatizzare ed ironizzare sulla lunga autarchia culturale e politica della Cina. L'icona di Mao Tse-tung è ad esempio onnipresente nei quadri in bianco e nero di Shi Xinning, che miscelano con efficacia l'idea del fotogiornalismo con quella dei manifesti di propaganda politica. Ecco allora un Mao gongolante a Las Vegas davanti ad una roulette, oppure eccolo cenare in compagnia di Marcello Mastroianni, o ancora di fronte al Che Guevara morente. Quasi irritanti ma stravaganti sono le tele in

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