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L'aridità nello scrigno socchiuso

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Lo scontro tra l'alienazione della fantasia e l'impulso alla creativitàNeppure la memoria solita a dare dolcezza e conforto aiuta l'intellettuale a uscire dal tunnel della depressione Ci riuscirà l'invidia provata per un giovane rivale

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Cogliamo al volo un dialogo molto illuminante per definire la condizione esistenziale fra un autore al top della speranza e una che non ne può più: «Sicuro che stai bene?» — «Sì» — «Dimmi chi sono.» — «Clara.» — «Hai dormito?» — «Sì» — «Quanto? — «Tutta la notte.» — «Hai visto cose brutte?» — «No» : «E belle?» — «No» — «NOn mentirmi» — «Non ti mento» — «Qualcuno ti ha minacciato o ti ha detto cose offensive?» — «No» — «Hai visto sangue, ferite aperte?» — «No» «Persone morte?» — «Ma che dici: no» — Parve acquietarsi, poi tornò a rimproverarmi: «Perchè non mi hai risposto?» È un dialogo-chiave questo, per cercare di decifrare l'identikit dei fantasmi in sottofondo che dominano la mente e la creatività di uno scrittore maturo di carriera, che i tempi crudeli che vive e sconta hanno reso arido e solo: fin dall'avvio, allora, si determina la condizione fra lo scrittore e un alterego che vuol combattere la «labilità», la percezione di vana inutilità di quanto scrive, come se l'idra del disincanto lo abbia avvolto fra spire atroci e impossibili da districare. Resta per lui la presenza di fantasmi con cui misurarsi, che ne condizionano quello che non può neppure definirsi più il nucleo ispirativo: animali, persone che destano tenerezza come una madre, un padre, un amico, una sorta di discesa agli inferi dell'oggettistica della memoria. Neppure la moglie ormai lontana, in America, men che l'amante, riempiono il vuoto pneumatico che il disincanto più sottile e insinuante slarga a dismisura: un bugno vuoto insomma in cui perfino il ronzio di un'ape tarda a sentirsi. Il bilico in cui viene a trovarsi è tragico e impercorribile: da un canto la gratuità dell'immaginario, in una condizione di questo tipo, dall'altro l'esigenza del fantastico, del sogno, pur ben sapendo che quest'ultimo può scatenarsi soltanto in una condizione di calma piatta, di sapore apparente. Viene in soccorso la memoria, a questo punto, ma fa più male che bene: il maledetto imperfetto del c'era una volta» ottunde, scardina il presente, lo banalizza: e guai a renderlo protagonista, a dargli credito, sarebbe come ritornare ad un passato irripetibile, a piangere sulle rovine di Troia. Il trabocchetto di una duplice realtà che procede di conserva, lasciando sulla sua strada una doppia ferita, è lì in agguato, dietro l'ultimo angolo disponibile. Il personaggio tenta di nascondersi, anche metaforicamente, e viene sempre raggiunto, non ha anfratti dove rifugiarsi nel gran mare tempestoso che lo cinge da ogni parte. Il «libro» sta lì, inerte, in attesa di venir concluso, troppo pressanti sono le aspettative che ne procedono le aspettative che ne procedono la soluzione finale: «Era ridicolo star seduto nella sala affollata senza dire niente. Perché quelle persone erano lì, cosa si aspettavano, non potevano cavar fuori niente che non fosse già nel libro...». Tuttavia, ecco la svolta, l'incontro con Nicola Gamurra, un giovane scrittore che gli presenta un manoscritto da leggere, si chiama «L

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