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di DELFINA METZ SIAMO nella «belle époque», un'epoca così bella, come dice la definizione, ...

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Parliamo di due dame del demi-monde (così il lessico elegante dell'epoca definiva quelle signore raffinate che non disdegnavano concedere i loro favori per trarne concreto vantaggio): le bellissime Cleo de Merode e Diane de Pougy che luccicavano nel firmamento mondano della Ville Lumiere mietendo vittime maschili facoltose e consenzienti. Adesso siamo da «Chez Maxime» tempio parigino dei bon vivants, dell'aristocrazia, della finanza e dell'industria maiuscole dove, ogni venerdì, si dà la tradizionale esclusiva soirèe. C'è Diane de Pougy, che trova il modo di far sapere a tutti che il prossimo venerdì tornerà ornata dai favolosi gioielli che le ha regalato un Maharaja. Il gossip mondano, che allora non era trash e si chiamava l'arte del pettegolezzo, arriva, come un tam-tam, alle orecchie della amica-nemica Cleo de Merode. Il predetto venerdì mentre Diane si presenta da «Chez Maxim» ricoperta dai famosi gioielli, Cleo fa la sua entrèe, a sorpresa, con un semplicissimo tubino lungo di pizzo nero, ma... la segue la sua cameriera ricoperta dai più bei gioielli della sua signora.... Diane se lo lega al dito e intanto Cleo diffonde voce che darà una prossima cena di gala nel suo palazzo indossando una toilette da far impallidire la sua amica-nemica Diane, anche lei invitata. La de Pougy, prezzola la sarta della rivale e riesce a carpirle il segreto sul tipo di stoffa con cui sarà confezionato l'esclusiva toilette della padrona di casa. Alla soirèe Cleo arriva a casa di Diane con il meraviglioso vestito annunciato ma... constata che tutte le tende del salone della padrona di casa, sono fatte della stessa stoffa della sua «esclusiva» toilette. Italia: anni 2004/2005. Siamo a casa nostra a subirci la trasmissione Tv «Il ristorante». Le eredi attuali, mediaticamente, e non moralmente, parlando, delle due fulgide demi-mondaines, sono Patrizia de Blank, di professione contessa e Tina Cipollari, di professione vamp secondo la bibbia di «Buona Domenica». Si insultano a vicenda, chi aggredendo, chi difendendosi, ma il turpiloquio è lo stesso. Un esempio per tutti i miei lettori che non sono fascia protetta: «Contessa del c...zo!». Signore e signori (si fa per dire) benvenuti nel «galateo» del terzo millennio! anzi nel fantasma del galateo, ormai morto e sepolto, avvolto nel suo discreto candido sudario di buone maniere perché «Il galateo, chi era costui?» direbbe oggi il manzoniano Don Abbondio. Oggi è la Tv-trash che indica i comporamenti e tutti dai neonati ai vegliardi. La pratica del galateo è ormai un'usanza di nicchia. Nell'aristocrazia vive come è sempre vissuta. Si mandano i fiori appena si riceve un invito per il pranzo, si bacia la mano solo alle signore, si fa l'inchino alle altezze reali. Ma il resto della gente confonde il galateo per una serata di gala ed è costretto ad «imparare» dalla Tv. Il delizioso figlio del mio parrucchiere, a soli due anni, il giorno di Natale, scartando i giocattoli ha detto entusiasta «c...zo papà!». Il papà, non potendo spiegargli ancora perché non si può dire quella parola, lo riprese, come potette, tenendo conto del lessico del piccolo: «No, Valerio, non si dice c...zo, si dice cacca». Adesso il piccolo angioletto per manifestare entusiasmo dice «Cacca, papà». Eppure mai come di questi tempi i libri di galateo fioriscono e si vendono ma, secondo me, all'ombra dei costumi attuali, dovrebbero essere più aggiornati. Per esempio: dove piazzare a tavola l'ospite trans? Al posto di un uomo o di una donna? E se l'invitato è Platinette? Una soluzione impeccabile sarebbe invitarlo/la ad una festa di Carnevale. Eppure la nostalgia delle buone maniere posso dimostrare che è esistita anche nell'ambiente non proprio ortodosso della malavita. Vent'anni fa, in un ristorante di Trastevere, mi rubarono i miei due cagnolini di razza, ognuno con il proprio nome, l'indirizzo e il numero di telefono incisi sul collare. Disperata misi un annuncio su tutti i quotidiani romani promettendo laut

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