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L'austriaco ribelle nel torpore contemporaneo

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Avviato verso lo sperimentalismo più rischioso, ha rinunciato all'inizio all'azione romanzesca ne «I calabroni» (1966) e «L'ambulante» (1967), con ampie invasioni nell'area del nouveau roman francese. Poi, furiose polemiche contro il conformismo delle convenzioni letterarie, culminate in «Insulti al pubblico» (1966) e «Autodiffamazione» dello stesso anno. Un romanzo come «La paura del portiere prima del calcio di rigore», non è solo un titolo bislacco, è anche un sasso gettato nell'acqua non più cheta degli anni Sessanta. Poi, eccolo di nuovo alle prese col romanzo: «Breve lettera del lungo addio» (1972), «Il peso del mondo» (1978), «Storia di una matita» (1983), «Nei colori del giorno», in bilico fra invenzioni e autobiografia. Ha scritto molto in questi ultimi anni, con interventi importanti sul tessuto un po' slabbrato della società di oggi, con il dito puntato e una grande ira nella testa: «Il gioco del chiedere» (1989), «Saggio sulla giornata riuscita» (1991). Nel 1995 ha scatenato il finimondo per una presa di posizione un po' stravagante a difesa dei serbi con un discutibile testo, «Giustizia per la Serbia» (1995). Infine, di nuovo nell'area del romanzo: «Il mio anno nella baia di nessuno (1997) e «In una notte buia uscii dalla mia casa silenziosa (1997). L'ultimo titolo è emblematico, del 2003: «Alla finestra sulla rupe, di mattina». Un anno prima aveva divertito un altro titolo: «Lucia nel bosco con quelle cose lì». Bel personaggio, necessario nel torpore contemporaneo. W. M.

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