L'omicida usa falce e martello
E sarà proprio questo titolo dello scrittore, docente di Cinematografia a Miami, a tenere a battesimo, a marzo in libreria, il neonato marchio milanese Alacràn Edizioni. Stuart Kaminsky, questo libro, che scrisse nell'81, è ambientato nell'Urss del Kgb, dove l'ispettore Rostnikov è alla caccia di un misterioso assassino che uccide utilizzando tre simboli della Russia sovietica: una falce, un martello e una bottiglia di vodka. Al tempo della guerra fredda e del muro di Berlino per uno scrittore di gialli internazionali c'erano maggiori spunti? «"Morte di un dissidente" è il primo di 14 romanzi che ho scritto sulla Russia e che, mi auguro, Alacàn voglia pubblicare tutti. Ciascuna di queste storie l'ho scritta imitando lo stile di un grande della letteratura russa, da Gogol a Cechov: in questo primo romanzo il mio modello di scrittura è Dostoievski. Ma esaurita la "guerra fredda", ho virato su storie diverse e su contesti come la mafia e la corruzione politica». Non crede che anche la realtà odierna offra spunti torbidi, come l'avvelenamento da diossina del leader ucraino Yushchenko? «La nostra realtà è come un gran film noir e, come accade spesso, supera di molto ogni fantasia. Quanto al caso di Yushchenko, penso che il Kgb non c'entri e che Putin sia innocente. Lì ci vedo piuttosto la mano maldestra dei servizi segreti ungheresi o rumeni». Lei ha lavorato anche per il cinema e la tv: preferisce raccontare i suoi "noir" con le immagini o con l'inchiostro? «Scrittore e sceneggiatore sono attività diverse. Nel primo caso sono totalmente libero, nel secondo devo tenere conto della volontà del regista e dell'orientamento degli interpreti». Ha collaborato con Don Siegel a «Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo», interpretato da Clint Eastwood e poi con Sergio Leone, ai dialoghi di «C'era una volta in America». Che ricordo ha di quei big dello schermo? «Con Clint Eastwood, già al primo incontro parlavamo come vecchi amici. Sergio Leone venne a trovarmi a New York per leggere le 400 pagine della prima stesura di "C'era una volta in America", che avevo scritto in nove mesi di lavoro ininterrotto. Avevo visto "Il buono, il brutto, il cattivo" e avevo seguito quel filone divertente nella mia narrazione. Sergio era seduto di fronte a me, leggeva e rideva, leggeva e rideva. Dopo l'ultima pagina, poggiò il manoscritto sul tavolino e mi fece i complimenti: "È davvero divertente", mi disse. Poi, guardandomi diritto negli occhi, aggiunse: "Per questo film non voglio una sceneggiatura divertente". Dovetti riscrivere tutto da capo».