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«Una Fondazione per la grafica»

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Il rumore delle auto è lontano, si sente solo l'abbaiare dei cani e il suono dei passi sul ciottolato. Qui, dove prima c'erano le scuderie di Palazzo Serristori, dal 1983 si trova la scuola d'arte grafica Il Bisonte creata da Maria Luigia Guaita dopo aver chiuso per mancanza di lavoro la storica stamperia in cui erano di casa maestri come Ardengo Soffici, Mino Maccari, Lucio Fontana, Primo Conti, Renato Guttuso, Pablo Picasso (che qui, nel '61, realizzò per il quadro «Ritratto di donna» l'unica litografia stampata in Italia), Alexander Calder, Henry Moore, Graham Sutherland. Ed ecco che tra pochi mesi nascerà una Fondazione voluta dalla Guaita e sostenuta dall'Ente Cassa di Risparmio di Firenze e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Livorno. Scopo dell'iniziativa, continuare a far vivere questa scuola d'arte, sicuramente la più conosciuta tra le oramai poche ancora esistenti. Signora Guaita, perché creare una Fondazione? «Ho preso questa decisione dopo aver constatato l'ottimo livello raggiunto dalla scuola diretta dal pittore e incisore Rodolfo Ceccotti. È un modo per mettere il "Bisonte" nelle condizioni di continuare a vivere, affinché le future generazioni possano venire a Firenze e imparare questo lavoro». La Fondazione si occuperà anche della Galleria d'arte? «No, la Galleria è destinata a chiudere tra poco, definitivamente. Gli affari non vanno più molto bene. Sa, gli italiani sono poco interessati alle litografie mentre sono sempre più numerosi quei giovani, soprattutto stranieri, che riescono ancora ad apprezzare l'arte grafica, ma come lavoro artigianale. Pensi che da noi si iscrivono persone provenienti da tutto il mondo. Molti arrivano dall'Europa del nord, dove questa tradizione è ancora assai viva. Fu proprio in Scozia a metà degli anni Cinquanta che appresi da un'amica la tecnica dell'incisione e, tornata a Firenze, nel 1959 aprii la stamperia». Perché decise di chiamarla proprio Il Bisonte? «Perché è un animale che mi somiglia, nel senso che anche io amo prendere le situazioni di petto. Se mi attaccano, rispondo, proprio come fanno i bisonti». Nella sua stamperia venivano i maggiori maestri del periodo. Che rapporto aveva con loro? «Anche se ci eravamo conosciuti per motivi professionali, il rapporto si trasformava ben presto in amicizia. E tutti diventavano habitué a casa mia e di mio marito, l'editore Enrico Vallecchi». Qual è, se c'è stato, l'artista che ha fatto conoscere anche tra i non addetti ai lavori Il Bisonte a livello internazionale. «Senza dubbio Henry Moore. Per lui organizzai nel 1972 una mostra proprio a Firenze, a Forte Belvedere». La Fondazione si occuperà anche del ricchissimo archivio esistente? «Certo. Oltre a una biblioteca c'è un gabinetto con circa quattromila stampe d'arte, un centinaio di pietre litografiche e una raccolta di matrici calcografiche. Ma non bisogna dimenticare anche la promozione di mostre, convegni e dibattiti che già da tempo organizziamo per divulgare la grafica d'arte. La vita della stamperia è stata caratterizzata da due momenti non facili. «È vero. Il primo fu l'alluvione del 1966 che distrusse la sede di via San Niccolò. Pensi che l'avevamo inaugurata solo l'anno precedente. Una sciagura che invece di abbatterci ci dette nuovo vigore. Il secondo arrivò negli anni Ottanta con il crollo del mercato delle litografie. Tutto segue le mode, anche l'arte. E così dopo i grandi successi del decennio precedente prendemmo la decisione di chiudere. Un dolore, ma non mi arresi. Mi buttai a capofitto nella nuova impresa, l'apertura della scuola».

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