«Mirabilmente singolare», biografia del musicista americano a firma di Kevin Bazzana
Glenn Gould, folle pianista
È noto che morire rappresenta un efficacissimo espediente promozionale. Gould lo praticò, suo malgrado, nel 1982, a 50 anni. Fino a quel giorno era stato un pianista di chiara ma circoscritta fama: da allora divenne un mito. «Difficilmente qualcuno potrebbe scrivere un racconto migliore della vita di Glenn Gould di quello fatto da Kevin Bazzana», così si è espresso l'autorevole «Chicago Tribune» a proposito di «Mirabilmente singolare», racconto della vita del pianista, pubblicato ora anche in Italia (Edizioni e/o, 578 pagine, 17.50 euro). Gould infranse le regole da vivo come da morto: diventare una piccola industria non è un destino comune a molti interpreti classici, vivi o morti che siano. Per la stragrande maggioranza degli esecutori, le incisioni, le trasmissioni radiofoniche e televisive, i film, sono attività secondarie rispetto alla carriera concertistica, e quasi sempre quando un interprete non è più in circolazione a stimolare nuova pubblicità si assiste ad un declino, a volte precipitoso, della pur notevole fama, delle vendite di dischi e della sua presenza sulla scena musicale. Ma Gould rinunciò ai concerti all'età di trentuno anni e trascorse metà della sua carriera professionale a realizzare nuovi progetti tenendosi lontano dagli occhi del pubblico, coltivando la propria presenza attraverso una vistosa assenza. Forse è per questo che tra il suo vasto pubblico c'erano legioni di ammiratori, non solo tra gli amanti della musica classica ma anche fra i jazzisti, a cominciare dal connazionale Oscar Peterson, suo grande ammiratore. A Peterson deve essere aggiunto Brian Jones, il mitico chitarrista e fondatore dei Rolling Stones scomparso nel 1969, il quale, a differenza degli altri componenti della band, mostrò sempre grande curiosità per il genere extra-rock. In particolare Jones sembrava incuriosito dal modo di registrare di Gould, dai cigolii della sedia rattoppata, i piedi che battevano per terra, la sua tendenza a cominciare a discutere una registrazione prima che il riverbero delle ultime note fosse cessato. E poi quel suo perenne cantare, ancora più difficile da evitare o da smorzare dato che Gould preferiva mettere i microfoni molto vicini. Una volta gli venne scherzosamente suggerito di usare una maschera a gas quando incideva, e per gioco ne comprò effettivamente una in un negozio di rimanenze di materiale bellico e alla successiva seduta di registrazione si presentò con la maschera. Quel giorno un fotografo di «Life» si trovava per caso nello studio e, come ricorda Gould «si erano dette talmente tante sciocchezze sulle cose che faccio, che pensammo che il grande pubblico americano avrebbe preso sul serio questa faccenda. E si fece una fatica del diavolo per ottenere che buttassero via quelle fotografie!». Il grande pubblico del rock si dovette accorgere del maestro anche in occasione della pubblicazione di «The quiet in the land», opera utilizzata per lanciare la quadrifonia. In quell'occasione Gould volle evocare le forze in conflitto della spiritualità e del materialismo con un contrappunto di due brani musicali: una suite per violoncello di Bach e la canzone «Mercedes-Benz» di Janis Joplin, la più acclamata cantante rock del momento. Ma le sue cantanti preferite erano altre: Barbra Streisand e l'inglese Petula Clark, che addirittura venerava. Parlare di Glenn Gould regala automaticamente la possibilità di godere del piacere sottile determinato dal paradosso e Kevin Bazzana ci ha consegnato la biografia che si attendeva da tempo: la vita di un uomo straordinario raccontata con passione, intelligenza, arguzia ed equanimità.